Come fa un (quasi!) 45enne senza figli a confrontarsi con ragazzi che hanno drammaticamente (per lui) un terzo dei suoi anni, nati e cresciuti in un mondo totalmente diverso come valori, visioni, tecnologia? Qualche linguaggio comune, più dell’esperanto e anche dell’inglese, lo si trova, se si vuole. E il principale è il calcio: cambiamo pure regole, a questo sport, trasformiamolo in business e in show, ma la passione resta quella di generazione in generazione. Al punto che uno nato negli anni Settanta può parlare degli anni Cinquanta a gente nata negli anni Zero. Come mi è capitato andando all’istituto Arimondi-Eula di Racconigi a raccontare il mio libro, “La squadra spezzata”, che mescola la Rivoluzione ungherese del 1956 e la nazionale di Puskas di quegli anni, una squadra formidabile che perse solo una partita, ma era la finale della Coppa del mondo. Ed ecco che, passando per un pallone, si può fare tanto. Anzitutto, fare leggere un libro a degli adolescenti di adesso, quelli che secondo i luoghi comuni i libri non sanno più neppure cosa siano (certo, mi ha anche aiutato il fatto che il protagonista del libro fosse un loro coetaneo, benché di un’altra epoca). E poi addirittura arrivare a spiegargli una bazzecola come il Comunismo.
Questa famosa difficoltà di comunicare ai ragazzi di oggi io non l’ho vista. Basta interessarsi a loro, parlargli sì, ma anche ascoltarli, mettendosi sullo stesso piano, dandosi del tu e confrontandosi non solo sulla passione per il calcio, ma in generale sui valori dello sport e sul rapporto dello sport con la politica nell’ultimo secolo, dal Fascismo alle lotte per i diritti civili. Le risposte ci sono state eccome, anche da parte di alunni considerati problematici o poco partecipativi. Ma alla fin fine è stato sufficiente ricordarmi di quando l’alunno ero io: un ospite che veniva a tromboneggiare mi annoiava a morte, uno che chiacchierava magari anche stuzzicandomi mi teneva attento. Così mi sono ben guardato dal tenere una trombonesca lezione ex cathedra. Sulla cattedra al massimo mi sono seduto nella posizione yoga del loto, che non è esattamente la posizione ideale per sdottoreggiare. Ma era uno sfizio che sognavo di togliermi fin dai tempi del glorioso Classico Piazzi di Sondrio. E anche queste sono soddisfazioni.
Luigi Bolognini
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