Da anni collaboriamo con Bookblog, con le sue ragazze e i suoi ragazzi. Ogni anno, in occasione del Salone Internazionale del Libro, viene riservato al Concorso letterario nazionale Lingua Madre uno spazio dedicato alle relatrici e ai relatori degli eventi organizzati.

Quest’anno abbiamo pensato di strutturare le interviste su Rayuela – Il gioco del mondo, il libro di Julio Cortázar che dà il titolo a questa edizione del Salone, e sul focus che la bookmesse dedica alla lingua spagnola, sui quali saranno modulati i principali incontri del programma CLM: tanti nuovi temi affrontati in un “disordine necessario” – come insegna l’autore argentino – con esperte, scrittrici e autrici del Concorso: cinque giorni di appuntamenti su lavoro, cibo, nuovi immaginari e lingua spagnola. A concludere la premiazione delle vincitrici della XIV edizione.

Abbiamo quindi chiesto ad alcune delle nostre ospiti di rispondere a due domande, per raccontare se stesse attraverso Rayuela e lo spagnolo.

Quello che ne risulta è un piccolo viaggio personale, fatto di ricordi, riflessioni e spunti letterari che le autrici CLM hanno deciso di condividere con i lettori e le lettrici di Bookblog.

Iniziamo con Luisa Fernanda Guevara.

Buona lettura!

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Come il titolo della XXXII edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino sottolinea, la cultura è capace di saltare confini e divisioni per creare in libertà, proprio come il lettore di Rayuela è libero di scegliere come leggere il testo. Qual è quindi il suo personale gioco del mondo? 

Amo il gioco della campana. Mi riporta alla mia infanzia. Due trecce e un gonnellino verde e rosso a quadretti. Mi piace quel fatto che bastino una discreta porzione di asfalto e un gesso, una modesta frazione di terra battuta e un bastoncino per lasciarsi andare, un compagno giocherellone e …“zash”, puoi compiere il balzo, superare confini e andare verso il Cielo. Uno, due, tre, tieni l’equilibrio. Quattro, cinque… piedi per terra. Cinque, sei: prepara un piccolo volo. Sette, otto, prendi la spinta finale. CIELO.

Anche da adulti lanciamo il sassolino tante volte nella vita. Qualche volta ci serve che rimanga dentro il confine, tante altre desideriamo invece sconfinare e raggiungere un paradiso.

Il Gioco del Mondo” di Julio Cortázar ci parla della campana. La usa come metafora della vita quando “giochi” sul serio. E quando giochi sul serio la vita può diventare rischiosa, poco lineare e molto ingarbugliata come l’antiromanzo “Rayuela”. Puoi passare da un capitolo all’altro in modo slegato e apparentemente incongruente, puoi tornare indietro e non sapere come leggere la storia al rovescio, puoi cambiare strada infinite volte senza arrivare a destinazione. Io accolgo la vita cosi: un continuo entrare in relazione con il mondo con curiosità, pronta per scattare e ferma in ascolto. Rispettando i propri confini e i confini altrui. Ogni tanto superandoli e prendendomi il rischio del contatto con la novità. Cortázar cerca di provocare l’altro, di renderlo partecipe, di indurlo ad uscire dalla passività. E lo fa usando come filo conduttore un sovrapporsi di migrazioni, musica, amore e follia. Quanto mi tocca il suo sassolino?

Terra-Cielo. Paradiso-Inferno. Radici e ali.

Uno, due. tre

Nessuno mi ferma anche su un piede solo!

Quattro, cinque. Non voglio correre, lo sanno i miei piccoli piedi scarpa 34.

Non voglio dimenticare, non voglio scappare,

Voglio far festa, lo sanno quelli che sorridono:

Voglio guardare, lo sa chi sostiene lo sguardo.

Voglio che tu appaia,

Voglio vederti qui vicino,

Voglio merendare con te al sole.

Voglio lottare, lo sanno i codardi e i timorosi,

Non voglio dimenticare, non voglio scappare, voglio essere presente:

Non voglio pensare che sia stato un delirio.

Sei, sette.

Non voglio volare, lo sanno le mie radici,

Voglio solo sfiorare le nuvole come in un quadro di Magritte

Voglio ballare, voglio viaggiare,voglio le mani piene di argilla.

Voglio le tue parole che sono un’altra lingua,

Voglio sentire e far sentire, lo sanno queste mani.

Voglio spartire, lo sanno i miei parenti e amici,

Non voglio perderti, ma voglio continuare a sognarti,

Voglio scrivere altre storie.

Il mondo sta perdendo…

Manca l’aria, ma io non voglio fare lo struzzo!

Voglio respirare ed essere accarezzata dal vento.

Ci hanno creato piccoli,

Ma ci crediamo liberi e immortali.

Poveri giganti,

Così grandi, che stiamo dimenticando

quanto grande sia il gioco del mondo.

Tu puoi scegliere da che parte salterai,

quante volte lanciare il sassolino,

puoi sempre giocare mentre cerchi altri cieli.

Facendo riferimento alla lingua ospite del XXXII Salone del Libro, lo spagnolo, le chiediamo quale sia il suo rapporto con la sua lingua d’origine e quale sia la madre (o le madri) della letteratura spagnola che maggiormente hanno influenzato il suo lavoro.

Il mio rapporto con la lingua spagnola è costante e quotidiano. Predomina la comunicazione verbale orale con i miei parenti all’estero e amici ispano parlanti in Italia. Leggo testi in lingua spagnola soltanto quando sono in Spagna o in Colombia (il mio paese di origine), altrimenti anche gli autori di lingua spagnola li leggo tradotti in italiano. Amo ascoltare un tango o Trova Cubana, e quando ne sento il bisogno cerco film in lingua spagnola e di registi latinoamericani.

Qua in Italia ho insegnato lo spagnolo ad adulti che devono affrontare viaggi o esperienze in America Latina; ho preparato ragazzi per l’esame di Spagnolo della Terza media e ragazzi che studiano lo Spagnolo al Liceo linguistico. Ogni tanto mi capita di collaborare come mediatrice culturale con realtà che lavorano insieme a migranti ispano-parlanti. Seguo bambini e adulti in ambito di Consulenza Psicologica in lingua madre spagnola e mi occupo di progetti che riguardano la psicologia transculturale.

Per me le madri della letteratura in Spagnolo sono le Cilene Isabel Allende e Marcela Serrano, le colombiane Laura Restrepo e Angela Becerra, la mexicana Laura Esquivel, la nicaraguense Gioconda Belli e le spagnole Almudena Grandes, Rosa Montero e Lucia Etxebarria. Loro hanno affrontato tematiche come il femminile, l’amore, la perdita della ragione, la politica, l’identità, la fantasia, il viaggio, la fratellanza. E come lasciare fuori di questo elenco le parole di Violeta, Parra e Frida Khalo? Quale altro nutrimento e ispirazione si può chiedere?

Una donna è la storia delle sue azioni e dei suoi pensieri, di cellule e neuroni, di ferite e di entusiasmi, di amori e disamori. Una donna è inevitabilmente la storia del suo ventre, dei semi che vi si fecondarono, o che non furono fecondati, o che smisero di esserlo, e del momento, irripetibile, in cui si trasforma in una dea. Una donna è la storia di piccolezze, banalità, incombenze quotidiane, è la somma del non detto. Una donna è sempre la storia di molti uomini. Una donna è la storia del suo paese, della sua gente. Ed è la storia delle sue radici e della sua origine, di tutte le donne che furono nutrite da altre che le precedettero affinché lei potesse nascere: una donna è la storia del suo sangue”.

Marcela Serrano dal libro: “ Antigua Vida mia”.

Eravamo folli tutti noi?
Quale mistero genetico faceva sì che la specie umana superasse l’istinto di sopravvivenza individuale quando la tribù, la collettività si trovava in pericolo?
Qual era la ragione per cui si era capaci di sacrificare la vita per un’idea, per la libertà altrui?
Perché l’impulso eroico era tanto forte?
Quel che a me sembrava più straordinario era la felicità, la pienezza che c’era nell’impegno.
La vita acquistava un senso completo, una meta, uno scopo.
Si provava una complicità assoluta, un legame viscerale con centinaia di volti anonimi, un’intimità collettiva nella quale scompariva qualsiasi sentimento di solitudine o di isolamento.
Nel lottare per la felicità di tutti, si trovava prima di tutto la propria.

Gioconda Belli dal libro: Il paese sotto la pelle

Io sono convinta che l’arte primordiale è quella narrativa perché, per poter essere, gli esseri umani devono previamente saper raccontare. L’identità non è altro che il racconto di noi stessi.“

Rosa Montero dal libro: La figlia del cannibale

 

Mi è sempre piaciuto quello che sta dentro, i sapori più dolci e i più salati, i fuochi d’artificio e le notti senza luna, le storie di paura e i film d’amore, le parole sonanti e le idee antiche. Aspiro soltanto a miracoli piccoli, comuni, come certi dolci paesani, e preferisco la marmellata di fragole, come la maggior parte della gente che conosco, ma solo da pochissimo tempo ho scoperto che non sono volgare per questo. Ho impiegato tutta la vita a imparare che la raffinatezza non si nasconde nella fibra amara delle arance.“

Almudena Grandes dal libro: Malena es un nombre de tango


“Alla mia Nini ha sempre dato fastidio l’artificio del finale felice nelle favole; è convinta che nella vita non ci siano finali, ma confini, si gironzola di qua e di là, s’inciampa, ci si perde”.

Isabel Allende dal libro: Il quaderno di Maya

Sono nata con una rivoluzione. Diciamolo.
È in quel fuoco che sono nata, pronta all’impeto della rivolta fino al momento di vedere il giorno.
Il giorno era cocente.
Mi ha infiammato per il resto della mia vita.
Da bambina, crepitavo.
Da adulta, ero una fiamma.

Frida Kahlo dal libro: Il diario di Frida Kahlo.

Un autoritratto intimo (a cura di M. Lowe Sarah)