Lo sguardo di Franco La Cecla, dopo un’intera ora di dibattito, aveva mantenuto la stessa determinazione ed energia dell’inizio, quando è salito sul palco del convento di San Francesco per battersi ferocemente in nome della sua visione e del suo ideale di città. Quello della scorsa domenica, (20 Settembre) è stato il primo ed unico intervento sulla tematica dell’architettura a cui ho assistito e, da appassionato, posso garantirne l’ alto valore qualitativo e divulgativo. Una lotta quella del relatore per salvare le città italiane dagli interventi dell’urbanistica moderna la quale sembra agire sempre più in maniera radicale e sconsiderata. Essa, se mal interpretata e gestita, può causare la rovina o la totale distruzione di quei micro sistemi della società caratteristici della realtà cittadina italiana ed unici in tutto il mondo. I nostri centri, dalle grandi metropoli al più piccolo paesello, presentano, tutti, un’incredibile sostrato sociale capace di rendere lo spazio urbano qualcosa di incredibilmente godibile sia in termini di abitabilità che, soprattutto, di interessi e svago. Sin da piccolo, ci svela l’autore, rimaneva catturato dall’incredibile bellezza artistica di alcuni viali e piazzette medioevali, così come dai grandi monumenti di epoca classica, intuendo che tutto ciò era da salvaguardare assolutamente.
La differenza tra le cittadine italiane e quelle straniere, continua l’autore, consiste proprio nel loro origine completamente divergente, sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista della risposta alle esigenze sociali. Non a caso non abbiamo le estesissime main street londinesi ma i più modesti corsi, pianificati per accogliere un numero molto inferiore di persone e pensati più, con gli innumerevoli balconi che vi si affacciano, per esibire la ricchezza economica ed il prestigio sociale di chi passeggiava al loro interno. L’urbanistica nel nostro paese è organizzata, sin dal millequattrocento, con una funzione scenografica, dice lo stesso Goldoni. Una teatralità che deriva dal gusto unicamente italiano di “mettere in piazza” ed esprimere le nostre condizioni, sia emotive che materiali, all’interno del luogo pubblico. Visione totalmente opposta a quella anglosassone che mira il più possibile, invece, al mantenimento della privacy nell’ambiente domestico e non oltre. Spazi nati per la condivisione, dunque, quelli italiani e per la vera socialità. Anche all’interno delle grandi metropoli come Roma e Milano è possibile ritagliarsi un piccolo angolino, un microcosmo, vivibile appieno in intimità, senza rinunciare all’internazionalità ed ai servizi che offre il grande centro.
Analizzando altre realtà, l’americana ad esempio, si nota come i moderni processi che hanno portato alla formazione di quegli enormi ammassi di edifici, sono completamente opposti alle dinamiche italiane, ed incarnano, soprattutto in stati come la California, la visione più moderna dell’attuale capitalismo interessato all’ “impalpabilità del reale”. Le ricchezze di oggi si sono virtualizzate, spiega La Cecla; così come gli interessi della borghesia spostatisi verso un sempre maggior utilizzo del web; e mirano ad una progressiva alienazione dell’uomo dalla città come luogo di incontro. Nel momento in cui l’economia diviene qualcosa di astratto ed immateriale, le città, come luoghi fisici e tangibili, perdono progressivamente importanza così come i cittadini che vi abitano. Le città stesse non manifestano più i segni della ricchezza, i quali non sono condivisi e mostrati orgogliosamente al pubblico come nel periodo comunale italiano, ma custoditi gelosamente entro le mura private degli investitori. Centri freddi ed inespressivi quelli americani, che non puntano al benessere dell’individuo o ad un miglioramento degli spazi collettivi ma, anzi, ad un allontanamento di quest’ultimi a vantaggio di una vita sempre più solitaria e misogina.
E pensare che l’origine della città, sin dalle poleis greche, è proprio basato sulla fusione di singoli interessi per uno scopo comune e più elevato. Si tratta di collaborazione, di senso civico o, meglio ancora, di cittadinanza. Vivere la città significa interagire con essa e con i suoi abitanti, lasciandosi permeare da quest’atmosfera meravigliosa di collettività pacifica ed armonica. È proprio l’amicizia il sentimento comune che unisce i popoli di uno stesso territorio, il quale viene occupato, delimitato e alla fine edificato con l’obbiettivo di migliorare le condizioni comunitarie. Le città sono infine, ed è bene ricordarlo, rappresentazione della democrazia, in quanto espressione fisica del volere di una collettività: di un popolo e non di un singolo.
Questo è quello che l’autore racconta di aver intuito in tutti i suoi viaggi ed anche durante la stesura del libro stesso. “Contro l’urbanistica”, presentato durante l’evento, è un libro nato pian piano e con tante difficoltà. Una di queste era capire quale fosse il principale fenomeno che danneggia oggigiorno il nostro tessuto cittadino. L’intervento provvidenziale di un amico mette La Cecla sulla strada giusta indicandogli, come vera e propria malattia cancerosa, questa “schizofrenia” dei centri urbani sempre più accentuata. È una divisione sostanziale quella che minaccia le realtà cittadine, tra i bisogni di una popolazione crescente e le necessità della città stessa, intesa come attrazione e prodotto vendibile alle grandi masse di turisti. “Ciò è assurdo e contraddittorio” dice lo scrittore, poiché non vi può essere differenza tra ciò che i cittadini desiderano e ciò che la città impone. Questo va a minare il principio di democrazia che, come abbiamo sottolineato prima, è l’essenza fondamentale di una città. Quantomeno bisognerebbe cercare una mediazione tra i due interessi; poiché eliminare il turismo è sarebbe un’azione controproducente sia sul piano economico sia dal punto di vista etico e culturale; ma ignorare le richieste di un popolo è del tutto insensato e crudele.
Dunque è l’attività amministrativa delle classi dirigenziali che va rivista completamente e controllata, affinché i personali interessi dei pochi non danneggiano i cittadini. Sono in molti quei politicanti che investono nell’urbanizzazione sfrenata e nella conversione di terreni da agricoli in edificabili. È una lotta che va condotta quindi, prima di tutto, contro la classe politica corrotta e poco coscienziosa alla guida del nostro paese. Una lotta però sempre pacifica, che si può muovere anche attraverso l’occupazione proprio degli spazi cittadini. D’esempio sono movimenti come “Occupy Wall Street” e le proteste in Ucraina al “Gezi Park”, che cita l’autore. Il potere, se siamo veramente in governo repubblicano democratico è sempre in mano al popolo, a maggior ragione all’interno delle città, simbolo ed espressione più alta della nostra volontà di uomini liberi.
Lorenzo Modena – Liceo Michelangelo Grigoletti di Pordenone 5^E
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