Il quadro giuridico ideale e auspicabile è un insieme di leggi capaci di fornire vantaggi in maniera equa sfavorendo la disuguaglianza, tuttavia nel quadro giuridico reale è possibile sfruttare le norme a proprio vantaggio per accumulare ricchezze. La legge non è neutrale, il capitale deriva da una veste giuridica, il potere economico e la politica possiedono un ruolo condizionante in un gioco in cui le regole sono fondamentali ma possibile oggetto di manipolazioni.  Una grossa crisi ha colpito la nostra società, ma ora la parola d’ordine sembra essere cambiamento. Non è più possibile tenere gli occhi chiusi verso un mondo che sta evolvendo nuovi mezzi informatici di controllo e fondando inediti imperi. Cosa accade nel momento in cui le regole entrano in crisi in un’era tecnologica e i datori di lavoro diventano algoritmi? Ce lo spiega Katharina Pistor, giurista della Columbia Law  School, nel suo saggio Il Codice Del Capitale, disponibile nelle librerie italiane a partire dal 4 marzo, e nell’intervista ad opera dell’editor di economia dell’Internazionale Alessandro Lubello durante la video-conferenza di sabato 20 febbraio in occasione del Festival Internazionale a Ferrara.

Il concetto di capitalismo si associa solitamente a finanza, economia, ricerca, multinazionali trascurando che fattori determinanti del meccanismo sono le leggi e gli accordi che legano gli scambi e le classi delle gerarchie aziendali, senza le quali il sistema produttivo e finanziario non può raggiungere il successo. Il capitalismo contemporaneo può essere considerato come neo-feudalesimo nel quale le leggi possono giovare le elites e in cui i vertici economici, assimilabili ai signori feudali nel Medioevo, traggono benefici attraverso monopolio e concessioni.

Secondo un’analisi storica i moduli giuridici risultano costanti nel tempo, già nell’antica Roma venivano utilizzati dei codici legislativi per favorire la nobiltà e tutelare le proprietà terriere, la giurista descrive il diritto in modo inaspettato, tracciando un filo rosso attraverso la storia e dissolvendolo dai pregiudizi.

La crisi finanziaria del 2008 percosse in maniera estesa tutte le economie e portò l’opinione pubblica a confrontarsi con complessi sistemi economici e finanziari e, riprendendo le parole della giurista, “la complessità crea nuovi livelli di opacità”, la carenza o l’assenza di chiarezza porta talvolta a sorvolare sulle strutture legislative fondanti favorendo la strada verso il fallimento, perciò le strategie economiche vincenti fanno riferimento alla codificazione dal punto di vista economico e tecnologico.

La citazione di Adam Smith “ogni individuo cerca di portare il capitale a casa propria per la più profonda conoscenza della legge”, attualmente è stata totalmente smentita. Le multinazionali non hanno confini, conquistano ricchezze grazie all’estensione e all’espansione del diritto nazionale all’aspetto transnazionale.  Le società che operano in più luoghi sono autonome nella scelta degli ordinamenti giuridici secondo i propri fini, investitori stranieri possono infatti ricorrere all’assistenza di collegi arbitrali, senza dover far fronte alla legislazione locale. Il redattore Alessandro Lubello incalza sull’evoluzione del concetto di azienda: prima si fermava alla produzione di un oggetto e ora tenta di conquistare anche la conoscenza. Anche in questo campo arrivano le leggi utilizzando il brevetto che, negli USA, viene concesso ogni qual volta l’attività umana è coinvolta. In questo modo si è arrivati ad imporre dei freni sul sapere e sulle nuove scoperte, infatti la continua concorrenza tra aziende, dettata da atteggiamenti strategici per lanciare nuove conquiste al momento giusto, porta alla costruzione di barriere sempre più ponenti.

L’avanzata dell’era tecnologica non è stata seguita a pari passo dall’apparato giuridico consentendo lo sviluppo incontrollato delle Big Tech, le maggiori multinazionali tecnologiche occidentali che, approfittando dell’ambiguità legislativa, hanno raggiunto dimensioni colossali acquisendo il monopolio e il controllo di informazioni e dati personali degli utenti a cui offrono servizi gratuiti. I vertici di questi imperi digitali sfruttano i dati personali a cui riescono ad accedere per arricchirsi, offrono benefici ai consumatori portandoli indirettamente ad essere dipendenti da essi. Le informazioni personali non appartengono a nessuno, proprio come un animale selvaggio. E se la bestia viene catturata non farà mai più parte della natura. Così anche i nostri dati, continueranno ad appartenere alle Big Tech. Queste aziende hanno pressato i legislatori affinché decretassero delle leggi che rendessero di loro ufficiale proprietà i dati forniti da milioni di persone, in tal modo le società riescono a fare i propri interessi sfruttando diritti individuali, concessi legalmente.  Il sistema giuridico si è fatto cogliere impreparato da questi colossi come dall’avanzata del bitcoin, la moneta virtuale del futuro che libera le persone dall’intermediario finanziario, la Banca Centrale o lo stato.  La tecnologia blockchain si fonda sulla sincronizzazione di innumerevoli dati personali di uno stesso network per mezzo esclusivo di algoritmi, al fine di consentire l’automatizzazione di transizioni digitali e la creazione di economie decentralizzate. Sfamandosi di informazioni personali, queste tecnologie e sistemi necessitano di regole puntuali e precise per garantire la tutela degli utenti e un uso benefico e non spregiudicato di tali dati. Vi è di fatto una crisi da affrontare legata al controllo normativo, è necessario, secondo la giurista, guardare le strutture di potere e cercare di applicare la legge antitrust alle aziende tecnologiche per salvaguardare i consumatori e la libera concorrenza nel mercato, “spezzettare” le Big Tech, sostiene Katharina, potrebbe essere considerata una soluzione. Nasce la necessità di inserire nuove tutele e una governance collettiva per essere padroni dei nostri dati. Talvolta si crede di conoscere tutto, ma l’abilità di comprendere i complessi rami aziendali e schiarire l’opacità attorno ad essi è riservata ad un elite di giuristi esperti ed ora, anche informatici. Bisogna partire da strumenti già posseduti per attuare una riforma duratura, forse il virus che ha scombussolato la normalità, potrà portare con sé nuove aspettative per il futuro, dando una spinta verso una rivoluzione radicale. La docente porta inoltre a riflettere sulla standardizzazione di modelli economici e lavorativi: è possibile cominciare a considerare algoritmi come datori di lavoro? E soprattutto chi siede dietro ad essi? I capi fondatori delle Tech sono il fulcro dei colossi, gli ideatori che possiedono il controllo diretto su tutti, i loro algoritmi posso prevedere distorsioni, talvolta indesiderate, che comportano alla creazione di pregiudizi e alla polarizzazione delle persone, tali errori vengono cristallizzati, non prevedono margine di mutazione e risultano essere un problema per la società. Le big tech hanno ideato un sistema con regole precarie, ma senza leggi il caos è inevitabile. È arrivato il momento di pensare a come prendere delle decisioni normative sull’utilizzo della tecnologia e trovare il modo di uscire da un mondo che si sta chiudendo. La Pistor conclude con una riflessione: “Siamo stati ingannati per troppo tempo pensando ai lati positivi. Dobbiamo riprendere la possibilità di guidare il futuro in maniera normativa”.

Asia Santarossa, Maria Nocent

Liceo M. Grigoletti, Pordenone.