Le insegnanti della scuola femminile della Casa Circondariale Lorusso Cotugno di Torino sul primo incontro con Valeria Parrella

Mi sono cari i tulipani. Quando sono nata era inverno, e il tulipano fiorisce d’inverno. Ed è proprio un mazzo di tulipani che mio padre ha portato a mia madre per festeggiare la mia nascita.

Con questo racconto, Valeria Parrella ha ringraziato le ragazze del blocco F del “Lorusso e Cutugno” per i due coloratissimi fiori di carta con cui le hanno voluto dare il benvenuto. E così, regalandoci un piccolo frammento della sua storia personale, la minuta, energica e sorridente Parrella, da qui in avanti Valeria, è entrata immediatamente a far parte della nostra “particolare” famiglia.

Il giorno del primo, atteso appuntamento con la scrittrice dataci in adozione, non sono presenti molte ragazze: è giorno di colloqui per il Padiglione Femminile e un colloquio, quando sei un detenuto, ha priorità su tutto. Questo Valeria mostra di comprenderlo perfettamente, rendendo superflua ogni nostra spiegazione e giustificazione. Come pure sembra assolutamente consapevole di quanto variegata e complessa possa essere la composizione di una classe carceraria: una Babele di lingue, diversi livelli di confidenza con l’italiano e con la scrittura, un fluire irregolare e spesso impetuoso di umori, sentimenti, ricordi, emozioni.

E nonostante attorno al grande tavolo di lavoro – approntato unendo i banchetti scolastici nella “cella doppia” del laboratorio di cucito del Padiglione – siano sedute, le une accanto alle altre, ragazze provenienti da diversi paesi, che parlano molto bene o quasi niente l’italiano, abituate a scrivere o che hanno iniziato da pochissimo a farlo, desiderose di partecipare all’incontro o annoiate e rabbuiate, Valeria, con grazia, ironia ed energia riesce a metterle tutte davanti a un foglio.

Chiede loro di scrivere, in prima persona e utilizzando 5 parole (sogno, bambino, acqua, muro, sole) e stavolta, in mezza pagina o anche in poche semplici frasi, sono le ragazze a regalarle qualche frammento delle loro storie.

Silvia Grivet e Sara Nobile