La bandiera inglese affonda tra le onde del mare, mentre il bambino che l’ha scagliata si allontana in solitudine. L’atmosfera dei secondi finali del film cult This is England è la stessa di tutta la prima parte del documentario Brexitannia di Timothy G. Kelly, un affascinante resoconto dell’opinione pubblica britannica ad un anno dal referendum sulla fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Opinioni svariate per svariati individui: sfruttando riprese fisse prima su comuni cittadini di differenti estrazioni sociali ed etniche, poi su stimati politologi, il regista riesce a dipingere un delicato ritratto sulla Babele di punti di vista su cause, sviluppi e conseguenze di Brexit. Unico filo rosso che congiunge gli intervistati è la solitudine. Il clima della pellicola, rafforzato da un violento bianco e nero, riflette alla perfezione il fatto che, oltre al terremoto politico generato dal voto del 23 giugno 2016, ad essere stati realmente stravolti sono stati gli animi stessi dei britannici. Il referendum non è stato tanto un voto sull’UE, quanto più sulla necessità di esprimere in qualche modo un malcontento da decenni serbato ed ignorato. Eppure la soddisfazione di tale necessità non è stata che apparente, effimera, illusoria e gli inglesi sono rimasti soli quanto e più di prima. Se alla vigilia del voto a sentirsi abbandonati non erano che le classi più deboli della società bianca, zoccolo duro euroscettico ed inconsapevole nemico di se stesso, ora la percezione è condivisa anche da chi vede lontano e perduto il grande sogno europeo e da chi, immigrato o discendente di questi, subisce le prepotenze di chi ha fatto dell’identitarismo una giustificazione per la propria intolleranza repressa.
Kelly non solo non cerca una soluzione a tale sentimento atomizzante, ma scegliendo una focalizzazione zero, trasforma il film in uno straordinario esempio di democrazia. Il rifiuto di un qualsivoglia intervento rende possibile non solo un dialogo tra le posizione più distanti, quali possono essere quella del barista convinto che tra i profughi si nascondano numerosi militanti dell’Isis e quella di Noam Chomsky, ma anche una presa di posizione indipendente ed incondizionata da parte dello spettatore. Viene sfruttata la bipartizione della pellicola per esprimere, attraverso la parola di vari esperti, una critica sia verso la globalizzazione neoliberista sia verso il nazionalismo xenofobo dei promotori del Leave.
Non c’è morale in tale narrazione. Il fine vero del film risulta il voler smascherare dal suo velo puramente politico il referendum britannico e rivelarne la natura di vero e proprio stravolgimento della mentalità inglese, spaventata da un mondo sempre più grande e competitivo in cui per le piccole realtà non c’è spazio e illusa, in una sorta di sogno neo-imperialista, che la propria nazione sia ancora una potenza di rilievo. Il messaggio può essere interpretato in una nichilistica visione di un Paese condannatosi da sé ad un durissimo futuro privo di aspettative.
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