“Quello che ti rende difficile la vita può rivelarsi quello che ti aiuta”. Questa è una della “perle di saggezza” che ci ha regalato la scrittrice Giusi Quarenghi nell’incontro di questa mattina, in cui ha presentato il libro Niente mi basta, riedizione di Un corpo di donna (1997).
Il titolo del suo ultimo romanzo può essere interpretato in due modi: come una sazietà infinita oppure come se il niente bastasse per vivere.
Racconta di una ragazza di nome Gaspara, ma conosciuta da tutti col suo secondo nome, che lei definisce l’unico: Melania. Questa ragazza non si basta mai. E’ in continua lotta con se stessa e con le persone che la circondano, e il suo modo per manifestare questo suo disagio è il digiuno. Ma grazie a Giulia, l’amica da sempre desiderata, riuscirà a costruire in se stessa una persona che riesce a vivere, a relazionarsi con gli altri, ma soprattutto a stare in armonia con il suo corpo.
Sorridente ed entusiasta, Giusi Quarenghi ci ha concesso di porle qualche domanda. Abbiamo scoperto che ha vissuto per sette anni, durante la sua adolescenza, in un collegio femminile dove ha conosciuto tante ragazze insicure di se stesse: c’era chi si sentiva brutta (e invece non lo era affatto), chi coi capelli troppo ricci, chi invece coi capelli inutilmente lisci; in un modo o nell’altro tutte avrebbero voluto essere diverse, come la protagonista del libro. Questo non è un libro autobiografico, ma tra le righe tornano delle caratteristiche delle persone che l’autrice ha conosciuto: “Ogni scrittore infatti – ci dice -mette nei suoi libri e nei suoi personaggi un po’ di, sé, delle persone che ha conosciuto e della sua visione della vita”. L’autrice ci ha poi spiegato che spesso, davanti all’anoressia delle figlie, molte madri sottolineano troppo il problema, peggiorando la situazione. Nel suo libro invece la madre di Melania fa l’esatto contrario, litigando fino a che la ragazza scappa di casa e rimane per tre mesi a casa di Giulia. “Questo è il periodo dei litigi – dice Giusi – bisognerebbe imparare a respirare con calma e avere fiducia: così le cose miglioreranno”.
Per finire abbiamo chiesto a Giusi qualche consiglio per “sopravvivere” all’adolescenza e lei ci ha suggerito che la cosa migliore è portarsi dietro tutte le età come se la vita fosse una rete a strascico. Non c’è un’età anagrafica in cui smetti di essere bambino o adolescente: ognuno di noi è tutto quello che può essere in ogni momento della sua vita.
Redazione Fuorilegge, 3^H, SMS Peyron-Fermi