Come studenti spesso ci sentiamo dire dai nostri professori che tradurre è tradire. Nella vita di tutti i giorni però capita di dimenticare questo principio, abbandonandosi allo sciame di informazioni che determinate parole veicolano; quando poi si tratta di dover avere a che fare con culture diverse dalla propria, la situazione si complica e la barriera linguistica diviene improvvisamente insormontabile. Non a caso la tendenza è, da parte degli italiani, quella di assorbire termini con una accezione negativa, come burqajihad, che regolarmente compaiono in giornali e telegiornali. È possibile cercare una via alternativa?

Il progetto NO(D)I: La frontiera si pone come obiettivo la ricerca di una risposta a questa domanda. E per farlo hanno coinvolto chi la lingua la studia e la usa in tutte le sue sfaccettature: i filologi, i linguisti e, soprattutto, i musicisti. Al Salone sono intervenuti Vhelade e Tommy Kuti, due musicisti italiani di origine zairese e nigeriana, che hanno proposto al pubblico dell’Arena Bookstock la loro risposta: trovare un equilibrio tra la cultura del migrante e quella dell’accogliente. Il successo di una società capace di integrare è basata anche sull’integrazione linguistica; nell’inglese americano sono di uso comune termini yiddish (tipici delle popolazioni ebraiche mitteleuropee) e italiani. L’informazione gioca però un ruolo fondamentale in questa partita; finché non verranno diffuse in modo corretto e contestuale le notizie e i dati riguardanti i fenomeni migratori, ma si cercherà il facile click-bait, non sarà possibile superare questa situazione di tensione.

Paradossalmente l’esito di un fenomeno di proporzioni bibliche dipende quindi dall’atteggiamento di ogni singolo cittadino europeo.

Michele Corio, Irene Bombonato