- Scoprire che Cuneo si chiama così perché il centro assume appunto la forma di un cuneo. Quando l’ho riferito agli studenti, stupefatto, hanno riso. Risata liberatoria, immagino, perché mi facevano più sveglio.
- Andare a dormire ospite della gentilissima famiglia di un professore, poco fuori Cuneo. (La mattina dopo, quando siamo entrati in città, avevo un’ora abbondante buca prima dell’incontro, così mi sono fatto lasciare in centro a fare quattro passi e ho scoperto che Cuneo, mano a mano che si avvicina alla sua cuspide, discende indietro nel tempo fino al suo piccolo spicchio medievale e, siccome la primavera non era ancora arrivata e a ogni passo gelavo di più, ecco che in punta pensavo mi attendesse una specie di minuscola era glaciale, con solo me protagonista.)
- Entrare in una bellissima caffetteria per riscaldarmi, uno di quei veri e propri salotti che si trovano in giro per il Piemonte, bere un cappuccio caldo e trovare un’atmosfera di casa. Poi scoprire che proprio lì – telepatia! vocazione! – faceva tappa Ernest Hemingway per fare scorta di cuneesi al rum. (Ma c’è un posto nel mondo dove Hemingway non faceva tappa? Effettivamente in un bar dell’Avana ho trovato un bar con la targa: Hemingway non beveva qui.)
- Al primo incontro venire accolto dalla classe in questa maniera: un ragazzo con i dreadlock alle percussioni, un ragazzo con gli occhiali al pianoforte e un altro ragazzo in piedi con Le cento vite di Nemesio in mano. E così entrare e sentire partire dall’ugola del terzo un incipit a me familiare: “Sono nato da una sperma vecchioooooo”. (Potete vederla qui ndr)
- (Sì, è un liceo musicale.)
- Al secondo incontro quello con i dreadlock si era rotto di suonare e così sono rimasti in due. E di nuovo: “Sono nato da uno sperma vecchiooooo”. Questa volta l’esibizione è stata registrata.
- Vedere le tue prime due pagine di libro diventare, grazie a loro, una bella ballata fluida che si chiude con il tormentone “le stesse parole, le stesse parole, le stesse parole…”, e infatti da lì prendere l’abbrivio per un’appassionata arringa contro i libri (parola orrenda) e per le parole (parola bella), ossia per la fluidità e contro la staticità, che li ha lasciati leggermente straniti.
- Scoprire che a ogni incontro si era più in armonia, a tal punto che alla fine del terzo ero ormai seduto tra di loro e al mio posto c’era un ragazzo di sedici anni a cui è toccato poi tornare a Milano, finire la difficile traduzione a cui stavo lavorando e bere un paio di gin tonic al bar sotto casa atteggiandosi a intellettuale.
- Trovare un gruppo di ragazzi simpatici e curiosi, come si dice in queste situazioni, così simpatici che abbiamo fatto botte e così curiosi che ho dovuto sigillare la mia borsa perché volevano mettere le mani sui libri avevo portato: così nascono le grandi amicizie. (No, scherzo: erano colorati, sdruciti, interessati, apatici, divertiti, incuriositi, simpatici, curiosi. Normali, direi. Quindi: belli.)
- Leggere un racconto intero e alcuni brani di prosa, declamare tre poesie d’amore e fare ascoltare Jimi Hendrix. Not necessarily stoned, tutto questo, but beautiful.
- Regalare alla classe un libro di Dave Eggers che ho tradotto, I vostri padri, dove sono? E i profeti, vivono forse per sempre? Mi sono detto: se riescono a leggere tutto il titolo, il più è fatto.
- No, in realtà l’ho regalato perché parla di ragazzi e di futuro.
- Vedere un ragazzo chiedre di leggerlo per primo perché era incuriosito e confessare di aver letto solo I ragazzi della via Pal. (Magari si sblocca. E poi Molnár mi è sempre sembrato una discreta pizza.)
- Scoprire uno studente uguale identico a uno degli Stooges, il primo glorioso gruppo di Iggy Pop, e dirglielo. (In quel momento ha fatto irruzione Iggy a torso nudo, ma forse sognavo ed era solo un tranquillo prof di filosofia.)
- Raccontare cosa significa scrivere un libro. (Ancora un po’ mi mettevo a piangere per la frustrazione di ripensarci. E pure a loro credo che sia passata la voglia.)
- Conoscere un ragazzo timido e composto, che al terzo incontro chiede di leggere ad alta voce un brano di Nemesio. Un brano finale. Non, dunque, l’inizio con lo sperma vecchio, ma la commemorazione funebre che chiude il libro, e che io non avevo mai trovato il coraggio di leggere in pubblico. Sei pagine accidentate e strambe in cui il mio protagonista s’impappina di continuo. E invece vederlo che si mette lì, piccolo e coraggioso, e legge bene, recitando quasi, mettendo gli accenti giusti sui momenti buffi e su quelli intensi, e insomma commuovendomi non poco con il suo candore. (Lacrimuccia.)
- Passare un mucchio di tempo sui treni regionali, a dormicchiare e a leggere, ma una sera avere la fortuna di trovare al finestrino una luce spaventevolmente bella, con tutta la catena di monti inazzurrata che faceva da corona al Monviso e rimanere a lungo a fissarla, senza capacitarmi di tanta grazia: carta da zucchero, scenografia interstellare, incanto.
- Chiacchierare dei grandi cuneesi, memoria d’Italia: Nuto Revelli, Giorgio Bocca, Daniela Santanch… No, aspetta. Nuto, Bocca, restiamo lì, vi prego.
- Parlare di Jane Austen, fantasy, Edgar Allan Poe, A Love Supreme, feedback, Cinquanta sfumature di grigio, Correggio, Pier Vittorio Tondelli, La La Land, Malcolm Lowry, Harry, ti presento Sally e non so quante altre cose.
- Ridere, di tanto in tanto, e cercare di far capire loro che uno scrittore è anche, perfino, un essere umano che sghignazza e annaspa, non un pozzo di scienza che fa pesare tutti i libri che ha letto; e, per aiutarli a capirlo meglio, parlare di Umberto Eco.
- Parlare molto e ogni tanto, giusto se facevano i bravi, far parlare anche loro. Capire che leggono più di quanto non si creda, che sono timidissimi, che hanno molta paura e molta diffidenza, che ti scrutano, che ti sogguardano, che a ogni passo verso di te ne fanno due indietro ma poi tre avanti, che scribacchiano (mi sono arrivati due racconti e una poesia da tre mittenti diversi), che parlare con gli adolescenti è difficile ma ne vale la pena, che sono fragili e chiusi ma non più di tanti scrittori e traduttori che conosco, che la scuola è più importante della libreria, che a volte (come facevano loro per ogni incontro) è giusto spostare tutti i banchi contro la parete e metterci sopra le chiappe.
- Capire insomma che invece di tre anni di militare, è sempre meglio fare tre divertenti incontri a Cuneo. Poi uomini di mondo si diventerà comunque, in qualche modo, tutti insieme, perché il mondo è sempre lì.
Marco Rossari
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