Immaginate unə scienziatə [1]. E’ da questo presupposto che parte il documentario Picture a scientist, proiettato alla Sala Boldini sabato 3 ottobre durante il primo weekend di Internazionale a Ferrara 2020. Immaginate unə scienziatə e molto probabilmente sarà uomo. E nel 70% dei casi avrete ragione. Ancora oggi, la disparità di genere nel mondo della scienza è un dato di fatto che fa parlare di sé. Ci stiamo occupando di luoghi in cui le donne hanno meno possibilità di laurearsi, di portare a termine un dottorato di ricerca, di trovare un tutoraggio o di ottenere un lavoro, e in cui il 50% delle donne afferma di essere stata vittima di molestie sessuali. E’ fondamentale sottolineare che, tra queste molestie, la coercizione, la violenza e le attenzioni sessuali indesiderate sono solo la punta dell’iceberg. Al di sotto del livello di ciò che è – quasi sempre – socialmente condannato, ci sono i piccoli gesti, le parole di scherno, l’esclusione, l’umiliazione. C’è la fatica a ottenere riconoscimento per il lavoro svolto, la messa in discussione del proprio valore, la disuguaglianza in trattamento rispetto ai colleghi uomini.
Di questo mondo che conoscono bene hanno raccontato tre scienziate statunitensi nel documentario diretto da Sharon Shattack e Ian Cheney. Nancy Hopkins è una biologa molecolare e professoressa al Massachussets Institute of Technology, specializzata nello studio della predisposizione al cancro nel Danio zebrato. Jane Willenbring, geomorfologa, lavora come professoressa di geologia allo Scripps Institute of Oceanography e dirige lo Scripps Cosmogenic Isotope Laboratory, dove esamina gli effetti del cambiamento climatico sul territorio. Raychelle Burks insegna chimica analitica alla St Edward’s University ad Austin, in Texas, e si occupa della realizzazione di tamponi a basso costo per il rilevamento di sostanza chimiche come gli esplosivi o le droghe. Ma non solo. Perché ognuna di queste donne, ognuna di queste scienziate, ha un ruolo fondamentale nel percorso verso la presa di consapevolezza e la risoluzione delle diseguaglianze nel mondo della scienza. Hopkins, vittima di molestie da parte di colleghi del suo mentore da dottoranda, è la principale autrice del rapporto del 1999 riguardo alla condizione delle docenti donne al MIT, che ha scatenato una discussione nazionale in merito alle disparità di genere. Willenbring, che ha lavorato al suo dottorato in Antartide in una situazione di vero e proprio bullismo da parte del suo tutore, ha trovato il coraggio nel 2016 di denunciare le sue azioni in una lettera che riportava le testimonianze di molte altre donne vittime del professore e che, nel 2019, ha portato al licenziamento del geologo dall’Università di Boston. Burks, scienziata nera che nella vita ha trovato molti più ostacoli che agevolazioni, venendo scambiata per una custode e vedendo la sua professionalità sempre messa in dubbio dai colleghi, è oggi una nota divulgatrice scientifica e autrice di podcast mirati al coinvolgimento delle giovani donne nel mondo della scienza.
Il pregiudizio che lega le donne più alla casa che al lavoro, all’impreparazione più che alla professionalità è radicata nella nostra formazione culturale e la strada per superarla è ancora lunga. Ma non impossibile. La diseguaglianza di genere non è un problema solo delle donne, è un problema della comunità intera. Perché solo quando ci immagineremo unə scienziatə nello stesso modo in cui immaginiamo unə maestrə, unə presidente o unə premio Nobel saremo tuttə davvero empowered, emancipatə, liberə.
Martina Piscitelli, ex studentessa del Liceo Ariosto
[1] La schwa (ə) è un suono vocalico neutro che non esiste nell’alfabeto italiano e si traduce con un simbolo grafico utilizzato soprattutto in ambito social per rendere inclusivo il linguaggio e definire un gruppo vario di persone.
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