Nella seconda giornata del SalTo Extra, all’interno della rassegna Anime arabe, Radio 3 ha dato voce agli ospiti Ahdaf Soueif e Adlène Meddi che, insieme alle giornaliste Paola Caridi e Marta Bellingreri, hanno sottolineato come il fermento politico del dissenso in paesi come Egitto, Algeria, Iraq e  Sudan, che da tempo lotta per il riconoscimento dei diritti civili e democratici contro i rispettivi governi, si sia dovuto forzatamente adattare alle condizioni di lockdown imposte dall’emergenza sanitaria.

La diretta si è aperta con l’intervento di Ahdaf Soueif, commentatrice politica e culturale egiziana, che si è soffermata sullo stato delle carceri del proprio Paese, considerandole un pericolo non soltanto per i detenuti, ma per l’intera comunità. Lei stessa, ponendosi di fronte all’entrata dell’Ufficio di gabinetto, ha protestato a favore del rilascio dei prigionieri, che, in questo periodo di crisi sanitaria, non possono avere nessun tipo di contatto con l’esterno, denunciando così come le condizioni dei carcerati già precarie, a seguito del lockdown, sono profondamente peggiorate. Le misure di contenimento della pandemia sono diventate inoltre l’occasione per accentuare la repressione della società civile e per legalizzare detenzioni di fatto illegali:  per legge, coloro che vengono arrestati, hanno diritto a un incontro col giudice ogni 45 giorni e la loro custodia cautelare può essere rinnovata fino a un massimo di due anni. Ora invece i detenuti sono privati dallo Stato di questo diritto fondamentale; per questo motivo il nipote di Ahdaf Soueif, dopo aver passato 70 giorni in carcere senza vedere un giudice, ha deciso di iniziare uno sciopero della fame. A dieci anni dalla Primavera Araba, stagione di proteste in cui i popoli del nord Africa lottarono per ottenere rispetto, libertà e diritti, nelle carceri egiziane, sono presenti ad oggi più di 60 mila prigionieri di coscienza, a testimonianza del perpetuarsi delle violazioni dei diritti umani da parte del governo.

Ci ha parlato del suo paese stravolto dalla pandemia anche l‘algerino Adlène Meddi. Nel suo Stato, in seguito alla quinta candidatura del presidente Abdelaziz Bouteflika nel 2019, è nato il movimento hirak che anima una serie di proteste popolari e che si pone come obiettivo il raggiungimento della democrazia. Dopo aver ottenuto le dimissioni di Bouteflika, l’azione del movimento è stata interrotta dalla pandemia. Secondo il giornalista, infatti, la crisi sanitaria ha provocato due tipi di fenomeni in Algeria: la fine delle manifestazioni in piazza e il moltiplicarsi degli arresti di attivisti e manifestanti. Col cessare delle proteste cittadine, la pressione sul sistema è diminuita e ciò ha permesso allo Stato di attuare una sorta di democratizzazione della repressione.

I cambiamenti politici che hanno portato al governo Abdelmadjid Tebboune hanno creato tensioni all’interno della società e tuttavia queste ribellioni non sono state interpretate come proteste da parte società civile, bensì da parte del vecchio potere agonizzante. Sembra difficile sperare in un riscatto politico-sociale di questo Paese, ma l‘algerino Adlène Meddi resta ottimista, considerando le nuove forme di lotta e le iniziative civili presenti nel suo Paese.

Dei grandi fermenti in Iraq e Sudan invece ha parlato la giornalista freelance Marta Bellingredi.  

L’Iraq, dal 2019, è teatro di un movimento di piazza che simbolicamente si lega alla capitale Baghdad, ma che in realtà coinvolge diverse città irachene. Si tratta di una rivoluzione, un processo interminabile che non si è mai fermato e perdurerà fino a quando i manifestanti non otterranno un cambiamento strutturale nella politica: l’attuale ministro Adil Abd al-Mahdi viene considerato parte infatti di un elìte corrotta, colpevole di aver trascinato alla rovina l’intero Paese.

In Sudan, dopo la caduta del regime di Al-Bashir durato trent’anni, con un colpo di Stato il generale Burhan è salito al potere, inaugurando un periodo di grande repressione nel Paese. In Sudan quindi gli attivisti rifiutano questo regime militare, che causa di massacri organizzati e pianificati contro i manifestanti pacifici.

Date queste premesse, non si può proprio dire che il lockdown abbia ridimensionato il problema del riconoscimento dei diritti civili, anzi,  in alcuni casi l’ha profondamente accentuato. Per questo motivo senza dubbio, il maggior desiderio di libertà, dignità e diritti si affermerà nell’animo di un numero sempre maggiore di persone.

Alice Astegiano e Benedetta Casella, Liceo Alfieri, Torino