Abbiamo costruito città invivibili”. SalTo EXTRA è agli sgoccioli, e inizia così l’ultimo intervento del gran finale del Salone, con Roberto Saviano che ci offre una serie di spunti di riflessione sulla nostra società. Lo scrittore italiano al momento si trova a New York, e domanda in modo provocatorio a Nicola Lagioia, che lo presenta, cosa sia sparito per primo dalla Grande Mela a causa dell’emergenza da Coronavirus. La risposta sembra quasi scontata: cocaina, eroina, marijuana. Il fatto che sia salito in modo così vertiginoso il numero di persone che si sono rivolte a queste sostanze indica il disagio della popolazione, che però non riguarda solo gli Stati Uniti.

La situazione di sofferenza causata dalla pandemia secondo alcuni porterà l’umanità a migliorare. Secondo Saviano no: lo scrittore esprime la sua visione piuttosto pessimistica della nostra condizione con una metafora, rimanendo nell’ambito della biologia, ormai “di moda”. Il dolore non sarà come gli orecchioni, come una malattia infettiva, contro la quale non si è più suscettibili una volta guariti. Anzi, una volta usciti di nuovo di casa, troveremo il mondo fuori ancora più intollerabile.

Un’altra riflessione dello scrittore napoletano riguarda il denaro e la grandissima importanza che avrà ora, descrivendo la situazione statunitense, con un tasso di disoccupazione che sale sempre di più e la popolazione stremata. Non saranno secondo Saviano strategie rivolte al breve termine, come l’invio di denaro alla popolazione, a fare la differenza sul lungo periodo: è necessario rivolgere lo sguardo a strategie che coinvolgano le banche e la ripartenza dell’economia su larga scala. E all’emergenza economica si aggiunge l’emergenza sociale, come ricordato in apertura con il riferimento alla droga: siamo chiusi in casa ma non sappiamo cosa sta per succedere, quale sarà il corso degli eventi. Il fatto che l’orizzonte cambi continuamente ci lascia impreparati e indifesi.

Questa condizione ha fatto emergere i molti cambiamenti che stanno avvenendo nella società trasformata dalla pandemia: maggior controllo, maggior sicurezza, perdita di importanza del Parlamento (e quindi del fondamentale dibattito politico). In un primo periodo sicuramente adottare misure cautelative è stato fondamentale, però è una situazione che non può durare all’infinito. La cruda verità che Saviano ci mette sotto gli occhi è che c’è il rischio, in nome della sicurezza biologica, perdere libertà e perdere la capacità di gestire la propria vita, ciò che nei regimi socialisti era la “protezione del popolo”. Il confine tra il proteggersi e non godere più dei propri diritti è sottile, e la questione è resa ancora più complessa dalle difficoltà nella comunicazione che abbiamo riscontrato, soprattutto nell’ambito scientifico. La criticità più grande messa in luce è come i virologi siano diventati opinionisti, con posizioni diverse ogni giorno. Questo ha portato al fiorire di teorie cospirazionistiche, pericolose in momenti di instabilità come questo. Tuttavia, i cambiamenti continui e la mancanza di onnipotenza sono caratteristiche insite nella scienza, ancor più in un periodo come questo in cui l’intero mondo scientifico si sta affrettando a trovare risposte agli interrogativi che il virus ha sollevato. Il problema sorge invece quando ciò viene usato come scudo da parte delle istituzioni, come scusa per delegare agli esperti la gestione politica in modo tale da non assumersi più nessuna responsabilità.

E questa non è l’unica perplessità che hanno suscitato le azioni delle forze politiche del panorama internazionale in questo periodo: le decisioni prese dal presidente americano Trump sono il frutto di un’attenta analisi delle opinioni, dei pensieri della popolazione in modo da mantenere il consenso popolare e, magari, accrescerlo. O ancora l’assenza di libertà in Cina, fatto che per Saviano è estremamente significativo: se le informazioni non fossero sottoposte a controllo e censura, il primo medico cinese a denunciare l’epidemia non sarebbe stato arrestato e messo in isolamento, situazione che l’ha poi portato alla morte. Ma soprattutto, il mondo intero sarebbe stato avvistato in tempo e avrebbe avuto più possibilità di reagire. La libertà acquista ancora una volta, quindi, estrema importanza in questa pandemia. La libertà salva: questo è il cuore del messaggio.

L’incontro si chiude con la speranza, da parte dell’autore, non del mantenimento del nostro impianto sociale attuale (a detta sua malato), ma della messa in luce di ciò che deve cambiare. Saviano si augura che il disagio delle persone comuni torni a far parte del dibattito politico, visto come l’assenza di risposte in un periodo di incertezza come questo faccia sorgere movimenti reazionari, abilissimi a sfruttare questo silenzio.

Una volta che manca la possibilità di dire che questo mondo non è più sopportabile ed essere ascoltati dalle istituzioni, la società va a rotoli. Così, i cartelli del narcotraffico arrivano a distribuire mascherine e cibo, e chi si trova senza nulla inizia ad affittare i loculi dei cimiteri per dormire, vuoti perché i morti finiscono in fosse comuni.

“Adesso noi abbiamo la forza per poter girare il tavolo, e non farlo fare ai reazionari, non farlo fare ai populismi, non farlo fare agli estremismi”. L’appello finale è semplice, ma potente: tocca a noi ora resistere, e alle istituzioni garantire sostegno economico. Se non c’è la ripartenza non c’è la rinascita, e senza di essa, la società è destinata ad affondare. Un altro mondo non è possibile, ormai, ma obbligatorio.

La conclusione di questa maratona finale del Salone non abbassa di certo il livello: dopo questo intenso messaggio di Saviano la lettura di Resurrezione laica di Mario Rigoni Stern completa in un certo senso le sue parole, e nella sera prima della “ripartenza” dell’Italia, una vera e propria resurrezione, vuole essere uno stimolo e un’esortazione per tutti.

Jacopo Cardinale, Liceo Classico Vittorio Alfieri, Torino