Esistono valori comuni europei? E soprattutto sono cristiani o umanisti?
Per rispondere a queste domande si sono confrontati ieri venerdì 4 ottobre al Teatro Nuovo l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio Gian Carlo Perego e il politologo e orientalista francese Oliver Roy.
Quest’ultimo ha iniziato il suo discorso sostenendo che per millenni, da Costantino al Cinquecento, la Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana è stata la sola e prima istituzione universale europea al di sopra di ogni nazione ed individuo. Proprio questa tradizione millenaria, secondo il politologo, avrebbe portato ad una forte radicalizzazione dei valori cristiani all’interno delle varie comunità del continente e quindi alla costituzione di una solida base culturale cristiana europea. Questa sarebbe poi entrata in crisi durante i moti del ’68, che, basando la propria identità su un concetto di libertà poggiante sul desiderio individuale, hanno sfidato il concetto millenario di libertà fondata sulla tradizione cattolica. L’Europa, secondo l’esperto, da questo momento ha cominciato ad escludere la chiesa dalla propria identità, assumendo un’accezione molto più profana. Quando anche la democrazia cristiana, fervente sostenitrice dei valori famiglia e sociali tradizionali, inizia a perdere terreno in politica a favore di una fazione più laica e democratica, la Chiesa, anche a seguito del Concilio Vaticano II, si limita a interventi oratori nelle questioni internazionali.
In Italia, anche a seguito di questi cambiamenti, persiste un genere di cristianesimo vivo, ma sempre più laicizzante. In Francia invece, in una società dalle radici estremamente laiche, nasce un destra cattolica, che spaventata dalle numerose presenze musulmane nel paese decide di abolire ogni testimonianza di fede, Hijhab e crocifisso compresi. Questo fenomeno di privatizzazione del culto religioso porterà nel tempo, secondo lo studioso, ad una forte strumentalizzazione dei simboli e delle ricorrenze religiose. La problematica dell’immigrazione islamica in Francia non è infatti estranea al relatore. Oliver Roy ha, per l’appunto, deciso di trattare nel suo ultimo libro un dilemma tanto profondo, quanto provocante: “ L’ideologia islamica più rigida da cosa si distacca? Dall’identità liberale dell’Europa o da quella cristiana? Agli islamici più radicati incute forse più timore il Sacro o il Profano?”.
L’Arcivescovo invece ha incominciato a trattare il rapporto tra la Chiesa (che rappresenta le istanza religiose) e lo Stato (che rappresenta quelle civili) a partire dai periodi di maggior collusione tra potere temporale e spirituale. All’età dell’imperatore Costantino e nell’epoca napoleonica si vivono alcuni tra i più forti momenti di sottomissione dall’ambito spirituale a quello politico. Sia l’imperatore romano che quello francese disponevano della religione come di un istrumentum regni, piegavano le gerarchie ecclesiastiche per legare i fedeli al proprio potere assolutistico e utilizzavano la spiritualità come collante nazionale. Con il Concilio Vaticano II si assiste quindi, secondo l’alto prelato, ad una liberazione della Chiesa dallo Stato, con una sua conseguente laicizzazione. La Chiesa di oggi inoltre si basa interamente su valori spirituali e non temporali, dal momento che la propria dottrina sociale si è venuta a creare nel 1891, quando già l’autorità politica della Chiesa era cessata lasciando maggior spazio alla religiosità. Prova dell’autonomia della Chiesa dallo Stato è la Caritas, che nasce come associazione cattolica libera, non facente parte del sistema di stato sociale di una nazione. Da quo momento la comunità ecclesiastica cattolica inizia, con spirito laico, a sostenere i diritti ai lavoratori (con la nascita del sindacato CISL), le proposte politiche di sostegno ambientale, la pace (dando inizio al movimento di obiettori di coscienza) e lo sviluppo nel mondo (contrastando ogni forma di colonialismo).
Con questa progressiva laicizzazione della società la Chiesa non deve però tralasciare la sua missione di evangelizzazione, più attuale che mai (solo il 10% degli italiani sono cattolici osservanti e praticanti che si recano alle celebrazioni ogni domenica), con la quale trasmettere nuovi insegnamenti adeguati ai nuovi problemi sociali.
L’Arcivescovo ha sostenuto poi che l’identità europea si basa non tanto sul passato quanto sulla disponibilità dell’incontro con la diversità, che è fondamentale nell’insegnamento dei nuovi valori (spesso trasmessi proprio dal diverso). La debolezza maggiore dell’Europa consiste nell’eccessivo interesse per l’economia e nella scarsezza di dialogo e integrazione. La solidarietà è quindi l’elemento centrale per conseguire un’identità europea, oltre che costituire un ponte tra la Chiesa e la spiritualità individuale. Obiettivo ultimo da raggiungere assieme all’integrazione è la giustizia sociale, che sarà completato quando non ci sarà più la migrazione, fenomeno conseguente alla mancanza di questo valore. Essenziale è quindi eliminare le cause della mancanza di dignità sociale all’interno dell’Unione Europea e fuori.
Ormai ogni giorno la corte europea dei diritti dell’uomo eleva a simbolo di identità nazionale un qualche nuovo prodotto alimentare, opera artistica, prodigio letterario o anche, come di recente si è potuto notare, un qualche simbolo religioso. Di fatti come il professor Roy ha fatto sagacemente notare, recentemente sono stati accostati due elementi tipici ed in larga scala presenti in Italia, uno dichiaratamente bolognese, l’altro sicuramente non romagnolo. Si tratta del gustosissimo piatto dei tortellini e della croce di Gesù Crocifisso. Ha dunque chiuso il discorso con una pungente provocazione rivolta al pubblico: si può forse parlare della croce cristiana, simbolo massimo di sacrificio e sofferenza, come si può fare di una portata tipicamente natalizia?
Vittorio Pantanelli e Alessandro Mauceri
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