Non è facile a distanza di quasi dieci anni tornare ai miei ricordi del Salone Internazionale del Libro di Torino. Per una studentessa adolescente, quei giorni di maggio hanno rappresentato, anno dopo anno con una certa ritualità una finestra sul mondo, un’occasione rara di dare forma alla propria mente.
Il Salone per me, come quasi tutto attorno ai sedici anni, era un luogo di conflitto. Lo divenne immediatamente quando scoprii che alla prima edizione a cui avrei partecipato, il Paese ospite sarebbe stata la Palestina. Mi occupai di seguire tutti gli incontri dedicati. Ero così: insorgente, ribelle. Dovevo scontrarmi con chiunque avessi davanti. Non importava si trattasse di Susanna Camusso durante un’intervista per il Bookblog a cui una ragazzina chiese conto delle decisioni prese dal sindacato o di Federico Rampini con cui discussi di quali fossero i valori autentici della sinistra. Ero sfacciata: pensarci ora mi fa sorridere.
Non esisteva autorità per me. Discussi persino con una delle mie professoresse, ad alta voce nel mezzo della redazione perché insisteva ad assegnarmi ad un evento che non aveva a che fare con la Palestina. Un’altra insegnante mi suggerì di essere meno giudicante nelle mie domande e più interrogativa. Ricordo ancora le sue precise parole tanto ero suscettibile. Mi opposi addirittura alla giornalista de La Stampa che voleva sostituire l’espressione piano quinquennale con piano di cinque anni nell’articolo che avevo scritto per l’edizione cartacea del giornale.
Le poesie di Stefano Tassinari, i racconti di Luis Sepulveda, le foto con Catarella di Montalbano e ancora i concerti di Mara Redeghieri, le citazioni dei Subsonica sui muri. Conservo ricordi indelebili del mio lavoro come blogger al Salone del Libro. Correre per quei lunghi corridoi sui tappeti colorati, mangiare al volo con i buoni pasto ad ore improbabili, le battaglie per conquistare una postazione in redazione sono stati tutti paragrafi di un articolo attraverso cui stavamo prima di tutto raccontando noi stesse. Il Salone era un universo parallelo, in cui potevamo dedicarci anima e corpo alla scoperta di tutti i mondi possibili che la letteratura disegnava davanti ai nostri occhi. Siamo state romantiche a Torino perché ci sembrava che le parole non avessero confini.
Quest’anno tornare al Salone del Libro anche se in versione virtuale, mi ha riportata a quell’atmosfera. Soprattutto, lavorare con le studentesse e gli studenti che ora stanno vivendo questa stessa esperienza e trovare in loro menti fresche, critiche, curiose mi ha restituito speranza, entusiasmo, convinzione.
La convinzione che abbiamo ancora ragione noi.
Irina Aguiari, già studentessa del Liceo Ariosto di Ferrara e galeotta
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