Amare è come scrivere: provi dolore, riscopri la chimica dell’incontro fra anime e ne rimani ossessionato.
L’intreccio, il paragone e la sorprendente somiglianza fra amore e scrittura sembrano essere il resoconto adatto dell’intervista a Fabio Geda da parte dei ragazzi del BookBlog nella seconda giornata del Salto EXTRA.
Definito “autore scenografico“, la sua scrittura si colloca in luoghi specifici e piega le descrizioni dei paesaggi nell’ottica del correlativo oggettivo. Una serie di eventi si trasforma così nella formula di un’emozione particolare e, anche grazie alla focalizzazione dell’occhio nell’ambiente dove i personaggi abitano, ci porta a scoprire drammi e vicissitudini sempre nuovi.
L’importanza dell’ambientazione si rivela fondamentale nella scrittura come nei rapporti di coppia. Nella vita in quarantena, ad esempio, l’eros si è manifestato in forme plurime: dall’ossessione all’idealizzazione della persona amata.
Parallelamente, nella vita dello scrittore si impone la necessità per cui, per scrivere di qualcuno, devi esserne inevitabilmente ossessionato. Lui, ad esempio, descrive il processo creativo come costellato da una punta di ossessione: i personaggi, i luoghi e la storia creano una scintilla talmente forte che non riesce a uscirgli dalla testa.
Ma, in un periodo in cui la dimensione corporea viene completamente a mancare, come un amore ideale può influenzare una persona?
Idealizzare qualcuno nella sua assenza ci porta a rivalutare il rapporto e, di conseguenza, a considerarlo migliore di quello che effettivamente è.
Incontro di anime e chimica di corpi, l’amore affonda in questo sano equilibrio.
Ricollegandoci al delicato tema dell’ossessione, è sempre bene sottolineare che una presenza costante acutizza il senso di oppressione derivato dal corpo dell’altro e si traduce solo in un’esperienza oscena e terrificante.
L’ossessione non può mai essere positiva: come ogni fondamentalismo, infatti, nega l’equilibrio tra quello che si vuole, che si può fare, quello che si desidera e quello che ci è concesso. Il rapporto di coppia è a due: la mia libertà finisce quando inizia quella dell’altro. Qui lo scenario è desolante, non ci sono tracce di quella positiva chimica simbiotica che, tramite il contatto fisico intimo, ci porta ad un’autentica spiritualità, ma solo il peso delle violenze domestiche subite dalle vittime bloccate in casa.
E il dolore? Un grande amore deve essere necessariamente faticoso e doloroso?
Ieri si è insistito molto sul tema del non evitare il dolore che proviamo perché nel dolore troveremo del positivo e un motivo di crescita. Questa necessità di accettare la sofferenza è qualcosa che non possiamo evitare e di cui siamo tutti colpevoli: quando soffriamo, cerchiamo sempre un pretesto per non soffrire così tanto.
Così come nell’amore, nella scrittura la quantità di sofferenza e conflitto va contenuta e allietata dal piacere dell’atto in sé.
Sebbene possa sembrare difficile immaginare, il grande amore non faticoso esiste, subisce continui mutamenti e si rinnova costantemente nelle stagioni della vita.
Perdersi in queste trasformazioni senza la necessaria morbidezza per mutare con l’altro, prendere strade radicalmente diverse e soccombere passivamente al cambiamento è la causa della fine.
In estrema sintesi, come sembra suggerirci Geda, la scrittura brucia alimentata da quell’amore spontaneo che cambia e si lascia cambiare. Entrambi, nel momento in cui ci sforziamo di piegarli ad un fine esterno, subiscono delle trasformazioni che mutano la loro essenza originaria fino, irrimediabilmente, a perdersi e vanificarsi.
Iasmina Ioan, Liceo Ariosto, Ferrara
Chiara Marchesin, Oppi Laura – ex studentesse del Liceo L. Ariosto
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