In questi giorni di pandemia molte sono state le immagini simbolo  rimaste impresse nella nostra memoria: alcune  evocative del dolore, altre  della stanchezza e dell’impotenza di ognuno di noi di fronte a una situazione che da mesi sta sconvolgendo le nostre vite. In questa ultima serata dell’edizione 2020 del Salone del libro EXTRA Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose e priore della stessa fino al 2017,   ci ha guidati alla ricerca del  senso profondo di una di queste immagini: venerdì 27 marzo  papa Francesco ha camminato sotto la pioggia in una piazza San Pietro deserta per pronunciare una preghiera: «Signore, non lasciarci in balia della tempesta». La preghiera del  papa è stata rivolta  a un crocifisso leggendario, di solito custodito nella chiesa romana di San Marcello al Corso, ritenuto miracoloso perché avrebbe protetto la città dalla peste del XVI secolo e una nuova peste è la pandemia di Coronavirus, un “angelo devastatore” che ha dipinto uno scenario desolante e disperante:   papa Francesco non ha fatto che innalzare a Dio il desiderio di tutti, ossia che cessi la pandemia. Questa situazione,ha affermato Enzo Bianchi, ha riportato alla luce atteggiamenti e sentimenti religiosi: nei momenti di crisi e di paura l’uomo si rivolge facilmente a Dio, come ci insegnano del resto anche i Salmi e i testi di pensatori greci e latini. Padre Bianchi ci ha poi messi in guardia: il Coronavirus non è un castigo mandato da Dio per punire i “peccati” della nostra contemporaneità, come affermano alcuni membri della Chiesa; è un’ ottusa credenza, perchè Dio non manda il male per ottenere il bene, ma vuole sempre il bene. Sarà Dio, afferma, che ci darà la forza di vincere la sofferenza e di risvegliare la nostra sensibilità nei confronti delle sofferenze altrui. Il papa ha scelto di pregare, sostiene Bianchi, perché sa che Dio vede il cuore di chi gli si rivolge e al contempo sente le sofferenze degli emarginati, degli oppressi. Prendendo a riferimento una seconda frase pronunciata da papa Francesco:«Ci siamo resi conto di trovarci tutti sulla stessa barca», l’autore ha infine sottolineato l’estrema importanza dei sentimenti di comunità,  solidarietà, nonché l’attenzione al benessere della polis. Questo termine è stato usato non casualmente, ma proprio per indicare l’idea di una comunità coesa e armoniosa di cui ognuno deve sentirsi parte integrante e che in momenti di crisi deve sapersi prendere cura anche dei più deboli. Enzo Bianchi ha concluso il suo intervento con un invito molto significativo:  RICOMINCIARE,  e non semplicemente ripartire: portare dei cambiamenti rispetto alla situazione precedente la pandemia, che nella sua tragicità ci ha mostrato la preesistenza di un’altra malattia, altrettanto grave e distruttiva, quella dell’egoismo e della frammentazione sociale. Queste parole del papa non devono restare nei nostri cuori solo come un ricordo, ma come un’esortazione  a trovare una cura per la nostra società, che abbia come valori fondanti l’uguaglianza e la fraternità.

Sara Ramello, Liceo Alfieri, Torino.