Partendo dall’idea di Unione Europea come comunità di stati, l’incontro si articola sul binomio stato-comunità, costituito da due poli che faticano a trovare un equilibrio in ogni democrazia.
Il dialogo tra Eva Cantarella, storica del mondo antico, e Petros Markaris, scrittore greco che nei suoi romanzi noir fornisce un’analisi critica della Grecia odierna, è stato moderato dalla scrittrice Helena Janeczek e ha inaugurato un’inedita collaborazione tra il Salone del Libro di Torino e il Parlamento Europeo.
Ma su quali radici si fonda la democrazia che oggi conosciamo e che è alla base della comunità europea?
E’ possibile individuare la culla della democrazia, spiega Cantarella, nella pòlis greca del V sec. a. C., all’interno della quale non era presente una contrapposizione tra stato e cittadini. Essa, infatti, consisteva in una città-stato indipendente, in cui la sovranità era esercitata dall’assemblea dei polìtai, ovvero i cittadini che godevano di diritti politici, educati a esercitarli fin dalla tenera età. Tuttavia non tutta la comunità partecipava attivamente alla vita pubblica, da cui, infatti, venivano esclusi gli schiavi e le donne, che non avevano il ruolo di polìtai, ma solamente di àstoi, ovvero cittadini che godevano solo di diritti civili. Dunque, alla pòlis dobbiamo il concetto di cittadinanza, e grazie all’etimologia di democrazia, che può significare sia “governo del popolo” che “potere eccessivo del popolo”, capiamo quanto il suo significato sia cambiato nel tempo.
Un altro fondamentale concetto di cui possiamo rintracciare le origini nel mondo greco, aggiunge la storica, è quello dell’ospitalità (filoxenìa) nei confronti dello straniero (xènos), nata come una necessità di sopravvivenza per i viaggiatori per poi divenire una vera e propria istituzione. Un esempio emblematico di filoxenìa è il racconto omerico dell’arrivo di Odisseo presso la corte dei Feaci, i quali accolgono lo straniero con grande ospitalità, ancora prima di preoccuparsi della sua identità e delle sue origini. I Greci del V secolo ci insegnano dunque che, prima di domandare la provenienza e la storia dell’ospite, è necessario occuparsi dei suoi bisogni primari e del suo benessere. Il vincolo che si viene a creare tra ospitante e ospitato assume un’importanza sia economica che politica nel momento in cui viene suggellato, alla partenza dello xènos, dallo scambio di un dono, che porterà alla formazione di un profondo rapporto tramandato tra le famiglie di generazione in generazione.
Petros Markaris sottolinea come, ad oggi, il paradigma dell’ospitalità greca sia stato tradito: la questione dei migranti rappresenta il “tallone d’Achille” delle politiche europee, che non sono in grado di gestire adeguatamente il fenomeno delle ondate migratorie a cui stiamo assistendo. L’Unione Europea si è ormai ridotta a una “comunità economica”, che ha come priorità la gestione finanziaria e si dimostra incapace di prendere vere e proprie decisioni politiche, non riuscendo ad attuare un equo piano di distribuzione dei migranti tra gli Stati che la costituiscono.
Sempre in riferimento alle involuzioni di cui siamo protagonisti, lo scrittore rimprovera alla sinistra attuale, “o a quello che ne rimane”, di aver abbandonato le mobilitazioni per i diritti delle categorie marginalizzate, prima fra tutte quella dei migranti, e la lotta di classe a favore dei più poveri. Dopotutto, la classe proletaria, come la intendeva Marx non esiste più, ma è stata sostituita dalla classe media, le cui condizioni di vita stanno progressivamente peggiorando: “i nuovi proletari per cui lottare sono i giovani laureati in cerca di lavoro”, conclude Markaris.
Dal confronto tra i due relatori, portavoce di realtà molto differenti, quella della Grecia del V secolo e quella dell’Europa attuale, traspare come sia più che mai fondamentale guardare in faccia i problemi, chiamandoli con il loro nome, per affrontarli concretamente, senza dimenticare gli esempi del passato.
Vittoria Alvisi e Nicole Rossi, Liceo Ariosto, Ferrara
Margherita Baldazzi (supertutor)
Tanto più rischiosa l’ospitalità dei Feaci in quanto Odisseo non è un poveraccio sans papier, ma l’astuto condottiero che si era insinuato nella città fino allora inespugnata.
C’è però una comune condivisione di valori che non comporta problemi di “riconoscimento” (Honneth)