Malauguratamente al giorno d’oggi, molte persone, non riuscendo a coglierne l’essenza si chiedono quale sia l’importanza della storia, a cosa serva ricordare fatti ed accadimenti che ormai a noi sembrano distanti, che sono successi anni, secoli addietro e che narrano ormai di persone perlopiù morte e sepolte. Ma ciò che veramente seppellisce qualcosa è il tempo il quale lento e cheto disgrega i segni, le traccie e la memoria di ciò che fu. Per meglio spiegare quale sia la funzione della memoria storica, della storiografia, risulterebbe opportuno richiamare in causa quello che a tutt’oggi ne viene considerato il padre: Tucidide, storico greco del quinto secolo avanti Cristo. Secondo Tucidide lo storico aveva il compito di fornire, gli strumenti per interpretare il presente e prevedere gli sviluppi dei rapporti tra le “poleis”. Tale previsione era giustificata da una concezione ciclica della storia. La sua opera infatti si proponeva come un’eredità per i posteri secondo il concetto che uno studio delle motivazioni profonde dell’agire storico, condotta con criteri razionali può fare della storia una scienza dotata di autentiche facoltà diagnostiche e prognostiche. La conoscenza del passato quindi, ci può e ci deve aiutare a comprendere le ragioni del presente e a costruire un futuro migliore. A tale proposito le Nazioni Unite nel voler ricordare il disumano sterminio quale fu la Shoah, hanno scelto il 27 Gennaio come “Giorno della Memoria” . Giorno in cui nel 1945 le truppe sovietiche dell’Armata Rossa, nel corso dell’avanzata verso di Berlino, arrivarono nella città di Auschwitz, scoprendone il campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. Questa data viene associata per antonomasia allo sterminio degli ebrei e tale visione tende spesso a sminuire le stragi non solo della seconda guerra mondiale, ma di tutte quelle compiute nei secoli e che tutt’ora vengono compiute. Nel dire questo non si vuole certo fare un torto al popolo ebraico il quale nel corso della storia venne continuamente perseguitato. Ma si vuole richiamare l’attenzione a tutte le ripetute occasioni dell’oppressione della condizione umana, dei suoi diritti e della sua libertà.

Una tra le stragi che coinvolse civili innocenti a noi più vicina a livello geografico e non distante nel tempo, fu quella della guerra nell’ex Jugoslavia protrattosi lungo il corso degli anni novanta. Nel periodo seguente la Seconda Guerra Mondiale, gli stati balcanici di Bosnia-Erzegovina, Serbia, Montenegro, Croazia, Slovenia e Macedonia andarono a formare la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia. Nel 1980, dopo la morte del leader Josip Broz Tito, il quale svolse una politica di controllo degli spiriti nazionalistici delle popolazioni jugoslave, atta a mantenere la stabilità del paese, la federazione venne meno. Il processo di disgregazione dell’unione jugoslava si intensificò dopo la seconda metà degli anni ottanta in Serbia con l’ascesa del leader Slobodan Milošević il quale fomentò le discordie in Bosnia e Croazia che dividevano serbi da croati, bosniaci e dalla minoranza albanese. In Bosnia la presenza dei serbi costituiva una parte non trascurabile della popolazione, come evidenziò un censimento attuato nel 1991: la popolazione risultava essere composta per il 44% da bosniaci, per il 31% da serbi e per il 17% da croati. Le elezioni tenutesi alla fine del 1990 videro la vittoria dei tre partiti nazionalistici rappresentanti le tre diverse etnie. I partiti vincitori decisero di coalizzarsi in una coalizione anticomunista con a capo il bosgnacco Alija Izetbegović (i bosgnacchi sono i discendenti delle popolazioni slave convertitesi all’Islam durante il periodo Ottomano della Bosnia). Il 3 Marzo 1992 dopo un referendum la Bosnia dichiarò la sua indipendenza ma la popolazione serba, lontana dal volere una Bosnia libera, voleva che diventasse parte della “Grande Serbia”, la Serbia dominante sui Balcani tanto auspicata dai separatisti. A seguito del riconoscimento dell’indipendenza da parte degli Stati Uniti e dalla Comunità Europea nel 1992, i serbi bosniaci, appoggiati da Milošević e dall’esercito jugoslavo controllato dai serbi, lanciarono la loro offensiva con un pesante bombardamento della capitale bosniaca di Sarajevo. Secondo le stime, il conseguente assedio della città portò a più di 12’000 vittime, ed oltre 50’000 feriti, l’85% dei quali erano civili. A Riguardo risulta importante l’episodio narrato ne “Il ponte Tradito: Religione e Genocidio in Bosnia” di Michael A. Selles: “(…) i militanti serbi uccisero un ufficiale serbo che era contrario alle atrocità conto i civili; lasciarono il suo corpo sulla strada per più di una settimana, per mostrare ciò di cui erano capaci”. La comunità internazionale per tutto l’arco del conflitto fece ben poco per prevenire le atrocità compite in Bosnia ma nel maggio 1993 istituì il “Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia” (ICTY). Fu il primo tribunale creato dopo il processo di Norimberga (storico processo che si occupò di condannare i nazisti per la Shoah e crimini contro l’umanità) con lo scopo di perseguire i crimini di guerra.

Francesco Wofford 5A

 

 Antologia della Memoria realizzata dai ragazzi del Liceo Scientifico Grigoletti di Pordenone