Crisi e cambiamento, questi i temi trattati nella conferenza odierna tenuta dai dottori Stefano Moriggi e Gustavo Pietropolli Charmet, presso l’auditorium dell’Istituto Vendramini di Pordenone. L’organizzazione di Pordenonelegge 2014 ci ha regalato un incontro di alto spessore culturale, all’insegna dell’analisi di alcune delle principali sfide del secolo appena inaugurato. Il pubblico è stato catturato dalla chiarezza e dalla competenza degli autori.
Non è immediatamente riconoscibile il nesso tra gli eterogenei ambiti di studio dei due professori. Esso viene trovato nel tema del futuro.
Ad aprire l’incontro lo psicanalista Charmet che mette immediatamente in luce le problematiche derivanti dall’assenza della prospettiva di un futuro. Problema diffuso non solo tra i giovani ma, a causa della crisi, anche nel resto delle generazioni. Una cosa appare evidente, siamo in un periodo di transizione che porterà ad un cambiamento radicale dell’umanità intera. Il dottor Charmet introduce la sua analisi sui problemi della società a partire dai problemi del singolo, facendo riferimento alla propria esperienza di psicanalista. Nell’arco della sua carriera si è reso conto che il vero modo per uscire da una crisi non è ricercarne le cause nel passato, ma piuttosto aiutare a creare un futuro. Proprio come spesso l’adolescenza porta alla non accettazione del proprio corpo relegando le persone ad un eterno presente e negando la possibilità di un avvenire, così ha fatto la crisi nella nostra società. Charmet ritiene che se una descrizione della crisi attuale come rapina del futuro, credenza sempre più diffusa, avesse presa nella società, allora ci sarebbe il concreto pericolo che l’intera generazione smettesse di fare futuro. Per evitare tale catastrofe si deve, anche in ambito scolastico, sottolineare l’importanza del futuro, magari limitandosi ad una semplice frase da parte del docente. Un ragazzo che si sente dire “avrai il compito di salvare il nostro pianeta” accetterà con entusiasmo questa missione, sentendosi investito di una nobile responsabilità. Il mondo che i giovani dovranno costruire non può infatti essere la continuazione del mondo presente, ma una radicale novità. Il pianeta che hanno lasciato le vecchie generazioni, sottolinea il dottore, è un bellissimo pianeta, ma parecchio malandato.
Di diversa natura il discorso del dottor Moriggi, anche se profondamente legato al pensiero del professor Charmet nel riconoscere nella crisi una preziosa opportunità di sviluppo. Affronta questo argomento in ambito tecnologico, riferendosi a quelle che lui definisce macchine. Queste sono le nuove tecnologie, non banalmente intese come “corpi estranei”, ma piuttosto come degli strumenti. Non è solo la crisi che porta al cambiamento, ma sono anche queste novità che faranno modificare radicalmente il modo di pensare dell’uomo. Già Platone nelle vesti del Re Thamus, nel Fedro, aveva riconosciuto una di queste potentissime tecnologie: la scrittura. Non solo aveva riconosciuto l’utilità di tale invenzione, ma anche l’influenza negativa che avrebbe avuto nel nostro modo di ricordare. La definisce “pharmacon”, cura e veleno, simbioticamente uniti in un’irrisolvibile ambiguità. È in questa definizione che si coglie la profondità e l’ambiguità del nostro rapporto con le macchine, dice Moriggi. Platone lo aveva pensato per la scrittura, ma possiamo applicare questo stesso ragionamento per le nuove tecnologie informatiche. Dobbiamo utilizzare queste innovazioni “cum grano salis”, ossia con buon senso: un abuso di esse risulterebbe dannoso.
Un ulteriore problema nasce dalla convivenza di diverse generazioni: i cosiddetti “nativi digitali” della generazione 2.0 e le generazioni precedenti che hanno vissuto la nascita della tecnologia. Non bisogna banalizzare: questi “giovani informatizzati” hanno un diverso modo di relazionarsi alla tecnologia. Come ingenuamente si crede, dice Moriggi, questi ragazzi non sono dei “genietti del computer”, ma si limitano ad avere un approccio operativo con queste macchine. Il problema generazionale si manifesta particolarmente tra i banchi di scuola, dove, denuncia Charmet, “si insegna troppo il passato, poco il presente e quasi niente il futuro”. L’innaturalità del sistema pedagogico attuale va sradicata volgendosi verso un sistema scolastico più anglosassone, trasformando la classe in una sorta di comunità di ricerca. I docenti, oggi portavoce del sapere, devono insegnare agli studenti a trasformare i concetti e i valori che studiano in strumenti per la vita pratica. Seppure appaia come una “diminutio”, i valori che diventano strumenti hanno raggiunto la loro massima realizzazione. Come credeva Albert Einstein la cultura che in una scuola dovrebbe essere somministrata, va al di la delle informazioni che vengono date. Ciò che conta non sono le singole informazioni, ma il substrato, nonché la capacità critica e un approccio metodologico al mondo che permettano di essere cittadini.
Questa crisi, questi cambiamenti, queste difficoltà sono delle opportunità da cogliere. Non ci sarebbero grandi cambiamenti se non ci fossero grandi problemi. Sta alla buona volontà decidere se cogliere questa opportunità in modo pacifico o se rifiutare il cambiamento passando per un’epoca di violente rivoluzioni.
Giulia Buttò, Pietro Marcolini (Liceo Scientifico M. Grigoletti, Pordenone)
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