Nel suo nuovo libro Istanbul Istanbul, Sönemz Buhran, scrittore e avvocato turco, affronta una tematica a lui molto cara per un’esperienza vissuta in prima persona: la permanenza in un carcere di Istanbul.

I protagonisti sono quattro uomini provenienti da vari ceti sociali, che si trovano a condividere un’angusta cella nei sotterranei della città. Per l’autore, la scrittura di questo romanzo è stata una sorta di liberazione: scrivendo ciò, è riuscito a metabolizzare finalmente l’esperienza del suo passato.

Oggi, 20 maggio 2017, al Salone del Libro di Torino, nello spazio internazionale Babbel, è stato intervistato l’autore e gli sono state poste diverse domande sull’esperienza sua e dei suoi connazionali nell’attuale Turchia.

L’intervista si è aperta con una domanda relativa al libro, alla quale lo scrittore ha potuto collegarsi per parlare di una Istanbul sconosciuta ed inquietante. L’unico modo per sopravviverci è abbandonarsi alla fantasia, vista come un mezzo per riconquistare i diritti calpestati e fuggire dalla realtà, realtà che purtroppo rimane sempre troppo presente nella loro vita.

Dalle parole dell’autore si evince che è impossibile immaginare un simile dolore fin quando non lo si prova, quel genere di dolore che ti annulla e ti fa perdere persino il senso del tempo, che invano si tenta di ritrovare ascoltando i rumori provenienti dalla Istanbul piena di vita.

Egli inoltre analizza molto più in profondità il concetto di tempo e gli dà varie sfaccettature, sostenendo che l’Oriente, ai giorni nostri, viene considerato come una rappresentazione del passato, mentre l’Occidente del futuro.

Il seguito dell’incontro ha fatto scaturire da parte del pubblico diverse domande sulla condizione culturale, politica e sociale dell’odierna Turchia, come per esempio la situazione giovanile, il governo di Erdogan e il suo “creatore”, Fethulla Gulen, i suoi rapporti con Trump, la realtà femminile, il coinvolgimento politico nella mafia, i legami con l’estero, l’immigrazione, la relazione travagliata con l’Unione Europea, il terrorismo e la religione.

L’autore si rende conto dei limiti del suo popolo e che c’è ancora molto da lavorare per una società migliore.

Molti turchi condividono le sue idee, perciò nella sua lotta è mosso dalla consapevolezza che, qualora qualcuno di loro venisse arrestato, tutti sarebbero pronti a gridare in suo favore, allo stesso modo è convinto che, se si trovasse nella stessa situazione, gli altri sarebbero pronti a gridare per lui.

Rebecca De Bortoli e Marta Olivetti.                    Liceo Classico Vittorio Alfieri.