Ogni città ha le sue bellezze, i suoi luoghi nascosti e le sue caratteristiche… Ma non è forse vero che gli abitanti, troppo abituati, smettano di coglierne gli aspetti che colpiscono, invece, i turisti?
Passeggiando per le vostre città, quali scorci notate? Come li descrivereste?
Passeggiando per la mia, Torino, ho potuto scoprire nuovi spunti, nuovi sguardi, da rivolgere alle strade ed ai palazzi davanti ai quali passo ogni giorno, ascoltando la descrizione che gli scrittori di un po’ tutto il mondo ne hanno fatto. Ho partecipato ad una delle tante PASSEGGIATE LETTERARIE che ogni anno si organizzano qui, nel capoluogo Piemontese, in occasione della manifestazione PORTICI DI CARTA.
Invito, dunque, a seguirmi nel reportage di questo mio viaggio, i torinesi, così che possano ricordarsi e accorgersi forse per la prima volta di alcune perle che la nostra città ci nasconde, ma anche tutti gli altri, così che possano conoscere, ancor prima di visitarli magari, gli edifici, le strade, i parchi…
Tutti pronti, si parte!
Ci troviamo in Piazza Carlo Felice, nei giardini davanti alla stazione di Porta Nuova, proprio accanto al monumento di Edmondo De Amicis, nato in Liguria ma cresciuto a Torino, scrittore del libro che hanno letto tutte le generazioni d’Italia: il romanzo per giovani “Cuore”. La sua statua si impone alta sulle aiuole del giardino, ai lati troviamo due iscrizioni che riportano due passi del romanzo stesso, una dedicata alle fanciulle, una ai giovani ragazzi: la religione laica di De Amicis, con il suo amore per la patria, riecheggia tutt’ora attorno a lui, insieme all’amore egualmente forte nei confronti di Torino.
Torinesi, dunque, seguiamo il suo consiglio: studiamo le strade della nostra città, così le ricorderemo quando saremo lontani, ma le riconosceremo sempre quando vi ci avvicineremo.
Sostenitore del suo stesso principio “fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”, Massimo D’Azeglio, fino al 1935 precedette De Amicis in quella stessa posizione, ma, come ci racconta il romanzo “Ore 10, Porta Nuova” di Gianna Baltaro, il suo monumento fu spostato dove “si sentisse a casa”: possiamo andarlo a trovare e salutare all’ingresso del Parco del Valentino, all’incrocio tra C.so Vittorio Emanuele e, appunto, C.so Massimo D’Azeglio.
Ora, spero lo facciate con intenzioni diverse da quelle dei ragazzi protagonisti del romanzo “Ciao Masino” di Cesare Pavese, che avevano un’idea più anarchica e violenta, come andar a tagliare la testa a(lla statua di) D’Azeglio.
In questa bella mattinata di sole autunnale, ci spostiamo, sempre all’interno del giardino, verso Via Roma, proprio davanti all’Hotel Roma, dove Pavese si tolse la vita, fomentando la fama di Torino come città maledetta.
Nei suoi libri leggiamo descrizioni di Torino in ogni riga, anche se, spesso, non esplicitati toponimi o riferimenti diretti: i suoi ritratti della città sono ineccepibilmente fedeli. Così anche quelli dei torinesi stessi, che amava guardare seduto alla Caffetteria Platti, su C.so Re Umberto, mentre al mattino si affaccendavano rapidi su e giù per il corso. Pavese era la sua città, Torino è stata “il luogo della sua persona”.
In questo scorcio di vita quotidiana, riusciamo a vedere Italo Calvino, erede in tutto e per tutto di Pavese, camminare da Porta Nuova verso Via Roma, cercando una sistemazione per la notte o per la vita, come racconta del protagonista del suo libro “La nuvola di smog“. Ricorda così, a tutti i Torinesi che in questa città sono davvero cresciuti, una delle tante trattorie a prezzo fisso dove era usanza accamparsi per mettere qualcosa nello stomaco, la più amata forse, la Trattoria Mamalicia.
Proseguiamo la nostra passeggiata verso Piazza CLN, attraversando quella porzione di Via Roma voluta dal regime fascista e progettata da Piacentini, avvicinandoci all’idea di una Torino che, fino a quel momento, era stata abituata a convivere, tutta insieme, in palazzi destinati a ricchi che, sul pianerottolo, si trovavano accanto ad un lavoratore comune.
Il Comitato di Liberazione Nazionale ha visto tra le sue schiere moltissimi degli scrittori di cui parliamo, impegnati nella lotta per la liberazione che, da lì a poco, sarebbe poi stata associata ad un nuovo risorgimento.
Con quest’idea, ci portiamo ora nella piazza che più conserva l’idea del risorgimento italiano: Piazza San Carlo, con il monumento equestre al re Emanuele Filiberto che si impone al centro, di cui scrisse Flaubert. Peccato che aggiunse un commento che non farà sorridere noi torinesi, insomma, piemontese falso cortese: “Torino è una città bella, dritta, noiosa e stupida”. Come disse anche Dovstoevskij, ma forse lui non fa testo, perchè in effetti all’epoca non era una città famosa per il gioco d’azzardo.
Risorgimento dicevamo. Ebbene, è proprio su questa piazza che si affacciava la casa di Vittorio Alfieri, responsabile della scelta politicamente importante e precisa di aver scritto in italiano. Prima ancora di Manzoni! Sull’altro lato della piazza, invece, all’angolo con Via Giolitti, prima del bombardamento avremmo potuto vedere la sede della casa editrice Einaudi, fondata da Giulio Einaudi e il circolo di studenti del liceo D’Azeglio, tra cui anche Pavese. Lo sappiamo grazie al fondatore e al suo romanzo, “Frammenti di Memoria“, che racconta proprio il momento in cui tutto esplose.
Nessuno, a Torino, si sarebbe mai aspettato che venisse colpita proprio la zona principale della città, la più centrale. Purtroppo la storia non è d’accordo con loro.
Seguitemi ora verso la Galleria San Federico, per sostare nel luogo dove avvenne il fatto di uno dei più divertenti aneddoti riguardo a Pavese. Il suo professore decise di fare la spia, ma grazie a lui ora possiamo sorridere anche noi.
Dunque, il giovane studente liceale Pavese si ritrovò a stare a casa per una settimana intera. Polmonite, dicevano. E’ simpatico più che altro sapere come se la prese… Prese la polmonite proprio come si prese una cotta per una ballerina del Caffè varietà Meridiana, Isa Bluette. Come ogni giovane promettente farebbe, le lasciò un bigliettino invitandola ad un appuntamento all’uscita degli artisti del Caffè, in Via Viotti. Questa ballerina non arrivò mai, ma, in compenso, scoppiò un temporale, così il povero ragazzotto non ottenne nulla, e De Gregori ebbe l’ispirazione per scrivere “Alice“.
E Cesare perduto nella pioggia sta aspettando da sei ore
il suo amore ballerina.
E rimane lì a bagnarsi ancora un po’.
Quella stessa via ha l’onore di aver visto pubblicare, per la prima volta, “Se questo è un uomo” di Primo Levi, nella casa editrice De Silva, fondata da Franco Antonicelli.
Camminiamo fino a Piazza Castello e prepariamoci a conoscere alcuni dettagli che ora fanno sorridere.
In primis, colpisce la descrizione di Guido Gozzano ne “La casa dei secoli“: parlando di Palazzo Madama ci racconta la sua storia, e dice di sè che era solito, come tutti i Torinesi d’altronde, rifugiarsi nell’androne per aspettare le donne che, come tutti sanno, si prendono sempre una mezz’ora in più di tempo per presentarsi agli appuntamenti.
Un luogo certamente cambia in base all’esperienza che ne fanno i cittadini: Rousseau, per esempio, si sentì accolto non appena arrivato in città, perchè di Torino non si può far altro che sentirsene abitanti.
Davanti a Piazza Castello si affacciavano i balconi dell’hotel che ospitò il maggior numero di scrittori di ogni genere e periodo a Torino, l’Hotel Europa, decantato per il lusso delle sue stanze in molte “Memorie di Viaggio”.
Il nostro viaggio sta per finire, avviciniamoci quindi alla penultima tappa: la Galleria Subalpina, dietro a Piazza Carignano.
Ospite del Caffè Baratti & Milano, Gozzano osservò per anni le giovani donne indaffarate nella scelta di dolci, dolciumi e dolcetti, tanto da trovare l’ispirazione per scrivere “Le Golose“.
Non solo il suo nome si collega a questo luogo, ma anche quello di Friedrich Nietzsche, seppur per motivazioni differenti.
Il filosofo tedesco spese a Torino molti anni della sua vita, osservando la città nelle sue lunghe passeggiate e scoprendo i lavori di costruzione della Mole Antonelliana. Rimase stupito da quest’impresa a tal punto che, si dice, prese l’ispirazione per scrivere “Ecce Homo“. Decantatore della cioccolata calda e delle gelaterie, Nietzsche deve a Torino l’episodio scaturante della sua definitiva pazzia: in Piazza Carlo Felice difese un cavallo maltrattato da un fantino, abbracciandolo al collo, senza più staccarsi. Così finirono i giorni del filosofo nella nostra città, poichè la sorella decise di riportarlo a casa, in Germania.
Eccoci giungere all’ultima tappa del nostro viaggio, passando attraverso Via Cesare Battisti, sede della Unione Culturale Franco Antonicelli, che si occupa di promuovere e promulgare la cultura a tutti in ogni modo. Siamo in Piazza Carignano.
Davanti a noi si erge Palazzo Carignano, descritto da Tiziano Scarpa come “dal lusso spericolato ottenuto con semplici mattoni”, insieme a molti altri, tra i quali Montesquieu. Tutti ne declamano la bellezza, e di certo noi torinesi non possiamo non confermare.
Luogo di nascita di Carlo Alberto, ospita al suo interno il Museo del Risorgimento, dove si può vedere la maschera funebre del re, definita “l’ultimo approdo di tante maschere sue” da Sceronetti, in relazione al tentennamento protrattosi per molti anni nello scrivere lo Statuto Albertino. Nel Museo si trova anche la Camera dei Deputati fatta costruire in occasione dell’Unità d’Italia, più grande rispetto quella precedente, di cui Tolstoj aveva detto esser troppo piccola per essere “il luogo dove il Regno di Sardegna diviene Regno d’Italia”, dopo averla vista nel 1857.
Voltandoci, possiamo vedere il Teatro Carignano, dove per la prima volta fu rappresentata una tragedia di Alfieri, “Cleopatra” e dove, nel 1818, Paganini non ripetè.
Davanti al Teatro osserviamo la statua dell’abate Vincenzo Gioberti, che tiene fiero in mano il libro, oggi messo insieme con lo scotch, “I Moribondi“, di Petruccelli.
Il viaggio potrebbe proseguire oltre, oltre e oltre ancora: Torino è grande, nasconde mille segreti, parole, osservazioni, meraviglie.
Dalla nostra passeggiata, ci congediamo dunque con un ultimo sguardo dietro di noi e con la consapevolezza di aver fatto un passo in più rispetto al suggerimento di De Amicis: ora, tutti, la conosciamo un po’ meglio.
E la amiamo, quello sempre, ma forse ancora un po’ di più.
Redazione Alfieri
Francesca Romualdi
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