Il Nicaragua è il paese delle mille contraddizioni, un paese violentemente dolce, nel quale da momenti di tenerezza quotidiana possono scaturire situazioni violente, un paese in cui “il piombo galleggia e il turacciolo affonda”.

Questa è la situazione tratteggiata dal professor Giorgio Tinelli, politologo ed esperto dell’America centro-meridionale che insieme a Riccardo Costantini, operatore culturale e responsabile per Cinemazero degli eventi e del festival di cinema del reale Le voci dell’Inchiesta, ha introdotto la prima nazionale del film-documentario “¡Las Sandinistas!” di Jenny Murray, martedì 12 marzo presso Cinemazero di Pordenone. Il professore sottolinea la capacità della regista di coinvolgere lo spettatore nel tema della rivoluzione sandinista e la successiva guerriglia dei Contrados sostenuta dagli Stati Uniti, nonostante fosse la sua prima esperienza nei panni di regista. Grazie alla tecnica del racconto attraverso le voci dimenticate di coloro che hanno portato il partito Sandinista alla vittoria, il film-documentario è un successo che cattura l’attenzione del pubblico, chiudendo anche questa sera con un sold out.

“Il Nicaragua è un tentativo non riuscito di rivoluzione” spiega Tinelli. La situazione politica attuale non è molto diversa da quella antecedente la rivoluzione proprio perché la salita al potere corrompe e degenera gli ideali per i quali la rivoluzione era stata realizzata. Ortega, l’attuale leader del Nicaragua era, durante la rivoluzione, uno dei maggiori esponenti del fronte sandinista, ma ora esercita un ferreo controllo sugli organi di governo del paese e reprime attraverso le forze militari qualsiasi tentativo di insurrezione o di protesta, per la maggior parte organizzate da giovani universitari che credono nel cambiamento, ottenendo elevati numeri di prigionieri politici e altrettanti morti. Diversi ex-membri del fronte sandinista, ad oggi, si sono trovati costretti a vivere in clandestinità o ad emigrare in paesi disposti ad accoglierli, mentre altri hanno fondato movimenti pacifici nel tentativo di ottenere ciò per cui, alcuni decenni prima, avevano lottato e che credevano di poter avere quando Ortega salì al potere. “Hai lottato tanto per un’ideologia e poi ti ritrovi contro i tuoi vecchi compagni” commenta il professore. Questo accade proprio perché si sono lasciati condizionare dal potere, perdendo di vista i propri ideali. La rivoluzione iniziò perché le persone avevano dei princìpi ed erano disposte a battersi per un paese nel quale ognuno fosse libero di esprimere la propria opinione, senza censure e senza rischiare la vita a causa della legge marziale instaurata dal governo Somoza in carica.

Per le donne nicaraguensi degli anni Settanta non era solamente una questione di ideologia: la rivoluzione andava fatta per annientare la dittatura di Somoza che era “il pericolo peggiore per la rivendicazione dei diritti delle donne”, così come sostenuto dalle protagoniste del documentario. Il pubblico si trova quindi davanti ad uno spaccato di storia molto intenso e, purtroppo, altrettanto sconosciuto che però ha stravolto la vita a tutti coloro che ne sono stati coinvolti. Ciascuna delle sandiniste intervistate ha infatti ricordato tutti i sacrifici che è stata costretta a fare per abbracciare i propri ideali e sostenere la rivoluzione. Sofia Montenegro, ad esempio, sottolinea le dure conseguenze della scelta di vivere in clandestinità per poter realizzare la rivoluzione: allontanarsi dalla famiglia d’origine e trovarsi ad avere come proprio nemico il fratello; abbondare i propri mariti e talvolta i propri figli, con la speranza, facendo la rivoluzione, di garantire loro un futuro migliore; superare le difficoltà del quotidiano, costruirsi ogni cosa dal nulla, anche le armi. Forte il disorientamento provato in tale contesto, in cui però il loro senso di umanità non venne meno: alcune, tra cui Claudia Lopez Alonso, sono riuscite a ricavarsi del tempo per studiare, socializzare ed educare alla guerriglia anche le altre donne, azioni a cui molti loro compagni, rigidamente maschilisti, posero resistenza. Altrettanto presente era quindi la consapevolezza che in quegli anni si stesse svolgendo una rivoluzione nella rivoluzione in quanto le donne cercavano di farsi rispettare dai commilitoni, in vista di una loro emancipazione. Dora Marìa Tèllez ha una personalità che sicuramente cattura lo spettatore proprio per il fatto che è riuscita a dimostrare tutte le sue potenzialità, soprattutto nella negoziazione con lo stesso Somoza durante la presa del Palacio Nacional nel 1978. Le altre protagoniste sono riuscite ad emergere dopo la sconfitta della dittatura nel 1979, quando tutto doveva essere ricostruito e la costituzione doveva essere scritta. A tal proposito, Daisy Zamora racconta di essere diventata Ministro della Cultura in uno stato in cui questa carica non era mai esistita: tutte le riforme che hanno portato alla costruzione di scuole, cinema e teatri in Nicaragua sono quindi nate dalle menti di donne che avevano lottato tanto per ottenere tali obiettivi, riuscendo a diminuire notevolmente l’analfabetizzazione nel proprio paese. Dora Marìa Tèllez, invece, divenne Ministro della Salute, dimostrando una tale dedizione al proprio paese che, anche dopo 40 anni dall’inizio della rivoluzione sandinista, non ha mai abbandonato: ancora oggi, lotta per i diritti delle donne ostacolati dallo stesso Ortega, il quale non riconosce alle sandiniste i numerosi meriti che hanno invece conseguito durante la rivoluzione.

Il documentario si conclude con le azioni di protesta del 2018 incoraggiate da Dora Marìa Tèllez, Sofia Montenegro e dalla stessa protagonista del Festival, Gioconda Belli, le quali credono fermamente che, per far valere i diritti che accomunano tutte loro, sia necessario informare la popolazione, ricordando il passato: è importante che i problemi di una società vengano discussi dalla popolazione e poi anche dalle autorità proprio perché, se non si riconoscono, non si potrà mai avere un cambiamento della mentalità, essenziale per la tutela dei diritti e dei valori democratici.

Marika Di Pietro, Alice Libera Donno, Liceo Scientifico M. Grigoletti Pordenone