Uno degli aspetti centrali della nostra ricerca è cercare di capire se esistano metodi nuovi per comunicare le biblioteche, uno dei modi per farlo è andare a zonzo per il Salone, osservare, ascoltare e prendere appunti nel luogo dove la cultura del libro si comunica in grande.
Si sente spesso dare la carta stampata per morta o moribonda. E benché molti addetti ai lavori tentino ancora, in modi diversi, di negarlo, pare scontato che questo processo sia inarrestabile. Lo stesso identico discorso viene fatto per le biblioteche. Osservare il problema delle biblioteche in un’ottica che tenga conto degli esempi degli altri attori del mondo del libro sembra, quindi, una scelta obbligata.
Il futuro delle biblioteche è decisamente incerto, ma ci sono, almeno, due certezze: le biblioteche si dovranno confrontare con il web e con il progressivo avanzamento del marketing in ogni aspetto che riguardi la cultura. Come si evolverà questa situazione è materia da veggenti, ma si può vedere come la stessa tematica venga quotidianamente affrontata da uno dei capisaldi della carta stampata: il giornalismo, che come le biblioteche si sta trovando a dovere ripensare la propria funzione nel contesto del web e della ricerca di autorevolezza.
Come l’utente medio dei giornali non vuole più pagare per leggere le notizie, per lo stesso tipo di atteggiamento, l’utente medio delle biblioteche preferisce cercare informazioni in repertori online dalla dubbia attendibilità. Tutti possono essere giornalisti (e tutti possono essere informati) grazie al web, basta che l’informazione sia veloce, disponibile e magari anche virale.
In nome della velocità il giornalismo ha dovuto passare dalla ricerca della verità alla ricerca del verosimile, in nome della velocità le biblioteche si trovano, invece, in una situazione di stallo che riguarda la loro stessa identità.
Che cos’è una notizia e come vi si accede? Questa domanda, che assilla i giornalisti da sempre, ha assunto una nuova dimensione al tempo dei social network. I giornali, e di conseguenza i giornalisti, non possono vivere d’aria e l’unico modo di trovare fondi in un contesto di grande crisi è la pubblicità. Un’azienda però compra spazi pubblicitari solo su siti che le garantiscono un certo numero di visualizzazioni. Ed ecco che nasce il “giornalismo virale”: un nuovo tipo di giornalismo che ha come unico obiettivo quello di ottenere un numero enorme di visualizzazioni, ma come fare? Gattini e video commuoventi. Gattini, video commuoventi e social, anzi.
Il traffico sui siti viene conteggiato secondo due parametri: numero di visualizzazioni e il tempo medio di permanenza sulla pagina. Le biblioteche, da parte loro, non vengono ancora valutate in base al numero di utenti che se ne servono e alla loro permanenza, ma nulla si può escludere.
La soluzione è, da qualunque parte si guardi la questione, difficile da trovare.
Secondo Alberto Puliafito e Davide Mazzocco, relatori di “Io non clicco – Il futuro del giornalismo online fra “shock”, “gattini” e “video commuoventi”, il giornalismo “buono” consiste in questo: riuscire a ricreare quel rapporto di fiducia che c’era quando ancora i giornali si compravano cartacei e si era fedeli a una particolare testata. Il nuovo obiettivo per chiunque si occupi di informazione nell’era del web è, quindi, quello di diventare la home page del maggior numero possibile di persone, e questo vale sia per i giornali che per le biblioteche, che aspirano a essere un punto di riferimento autorevole della ricerca di informazioni.
Se, in quest’ottica, si cerca, quindi, la fedeltà degli utenti anche la quantità di notizie da riportare diventa più bassa e si può fare una selezione, senza volersi per forza piegare alle tendenze del momento. Se si parla di fedeltà bibliotecaria, bisogna puntare a una qualità di base capace di auto-comunicarsi, senza snaturare il ruolo della biblioteca, ma senza peraltro abdicare in toto al web.
Uno degli elementi curiosi annotati nei nostri appunti è che la gente, nel delirio di informazioni dei padiglioni, si ferma di fronte alle cartoline coi gattini, esclamando “hai visto che bello?”.
Pensando al Salone come a una metafora dell’offerta informativa del mondo cartaceo viene da chiedersi: dovremo escogitare un Progetto Kitten per le biblioteche?
Pietro Franchitti e Francesca Martino
Nessun commento
Non ci sono ancora commenti, ma tu potresti essere il primo a scriverne uno.