Nel 2011, in occasione dei 150 anni dell’Unitá d’Italia, il professor Giovanni De Luna trovò lo spunto per un nuovo libro: “Una politica senza religione”.

Un suo alunno gli chiese “Cosa ci guadagniamo noi ad essere italiani?”
Effettivamente ormai il concetto di appartenenza all’Italia, la cittadinanza, è quasi unicamente legato all’economia. Sono venuti a mancare, negli ultimi vent’anni, i valori e i simboli caratteristici della religione civile.

Ed ecco l’argomento chiave del libro: la religione civile, e tutti i collegamenti che con essa si possono e devono fare.

Secondo l’autore la religione civile, con cui generalmente si intende la presenza di “Dio” nelle Istituzioni statali, va analizzata come un legame (appunto religione, dal latino religo, tenere insieme) che che metta però in comunione qualcosa di più propriamente laico.

Egli spiega che ormai la classe politica ha perso la capacità di individuare valori e tradizioni con cui alimentare lo spazio pubblico, che è rimasto deserto e che la Chiesa ha subito cercato di occupare senza risultati, lasciando quindi spazio all’Economia (che viene descritta come un terzo “personaggio” a danno della Politica e della Chiesa).

La critica e il commento del libro sono affidati al professor Rusconi, che dichiara di aver trovato molta confusione e qualche contraddizione nei concetti espressi dall’autore. Come critico fa notare che nello scritto si ritrovano più significati diversi dell’espressione “Religione civile”, che in ultimo definisce come un contenitore normativo. De Luca ha cercato di capire, di dare un’idea di ciò che la religione civile dovrebbe essere, facendo però riferimento a ciò che attualmente è, ed è questa probabilmente la causa della confusione. Confusione di qualcuno che vuole e che cerca di mettere in chiaro le cose.
Un’altra delle osservazioni è che manca quasi del tutto l’attenzione sul concetto di leadership, che pur non esiste più in Italia e ha sicuramente contribuito all’impoverimento dello spazio pubblico.

De Luna, riprendendo la parola, controbatte che, al contrario, nel suo libro fa più volte riferimento alla leadership italiana, parlando di Di Pietro, Berlusconi e Grillo, e ricorda i diversi mezzi di divulgazione di cui essi si sono serviti: cioè la “carta stampata” fino a Berlusconi e la rete con Grillo.

In ultimo fa come un’autocritica, divagando dal libro, e facendo l’esempio delle elezioni di Berlusconi del 2008, quando anche gli esponenti della cultura, continuando a compiacersi dell’essere antiberlusconiani, non si sono applicati per dar vita a un movimento in contrapposizione a quello del Premier, non coinvolgendo quindi la parte civile.
Non hanno provato a supplire la classe diligente nel tentativo di mantenere vivi quei valori che inesorabilmente sono andati perduti.

Sara Tavella
Fuorilegge