Suvashun. Una storia persiana è il titolo del best seller dell’autrice iraniana Simin Daneshvar, pubblicato per la prima volta nel 1969 in Iran, ma edito in Italia da Brioschi soltanto nel 2018 e tradotto dall’ islamologa Anna Vanzan che ha tenuto la conferenza con Sabahi Farian, docente all’Università della Valle d’Aosta. ”L’autrice classe 1921 è morta nel 2012 ed é stata simbolo della letteratura iraniana” spiega la Vanzan che la paragona a Italo Calvino. Il libro è un romanzo storico, ambientato negli anni 1941-1945, periodo in cui l’Iran, nonostante la sua neutralità nella seconda guerra mondiale, era occupato dagli inglesi che volevano avere un avamposto per bloccare i tedeschi in Africa. L’io narrante è un uomo di nome Yusuf, ma la vera protagonista si rivela essere sua moglie che nasce in una famiglia in cui il padre è ateo, inconcepibile in una società fondata sulla religione. ”L’autrice – continua la Vanzan – è anticonformista, dato che le sue sono posizioni poco ortodosse: si esprime contro l’obbligo del velo, contro la religione come principio fondante di un sistema politico e contro la medesima come superstizione” tanto è vero che nelle sue opere critica il regime seppur con parole misurate, per via della censura presente nel paese fin dal 1850. La Vanzan spiega anche che ci ha messo molti anni per tradurlo e farlo pubblicare perché non è riuscita a trovare facilmente un editore sensibile e, secondo lei, il libro è ”solo apparentemente una lettura semplice, ma in realtà è a strati perché fa riferimento a un determinato contesto storico e a molti usi e costumi del tempo”, incomprensibili se non studiati e conosciuti. Alla domanda della giornalista su un chiarimento riguardo al titolo, la traduttrice precisa che Suvashun è il nome di un rituale sacrificale pre-islamico legato ai miti della Terra e dell’agricoltura secondo cui un eroe si immola su un altare comune per il bene della popolazione.