Vauro stasera stupisce. Eccome se stupisce. In compagnia di Giovanni Veronesi, regista del film “Genitori e figli – agitare bene prima dell’uso”, il vignettista-scrittore-attore-chipiùnehapiùnemetta toscano ha intrettenuto la platea con un’ora di parole che non si possono definire chiacchierata, o conferenza, o convegno. Avete presente quelle chiacchierate con gli amici al bar, magari commentando un avvenimento o ricordando un aneddoto divertente? L’ora passata con Vauro è stata esattamente così.
Dopo “il suo primo monologo senza querele” a proposito del suo nuovo libro, “Il respiro del cane”, Veronesi e Vauro hanno spaziato dalla guerra alla memoria, passando per i 22 manichini – a grandezza naturale – rappresentanti l’Armata Rossa che si possono trovare a casa di uno degli uomini più querelati d’Italia.

E tutto ciò che ha detto sembrava essere fatto apposta per rientrare in un libro di massime, un po’ alla Oscar Wilde forse, come “il tempo dell’attesa è un vuoto, quasi un non-tempo”, oppure “la vita è un gioco di bambini: serio”.
Parlando dell’amore e delle sue prime esperienze in questo campo – tra cui ricorda il nudo integrale della donna di Neanderthal trovato sull’enciclopedia Conoscere quando ancora frequentava le elementari – sembrava che l’uomo in grado di disegnare quelle vignette ciniche e disarmanti avesse lasciato la scena al suo gemello sentimentale. Così come quando l’argomento si faceva più serio, quando si è parlato delle esperienze di guerra fatte in compagnia di Gino Strada e di Emergency, quando il sorriso di Vauro sembrava più che divertito quasi un ridere di commozione.

E se la tipica toscanità dei due mi impedisce di riportare integralmente le loro parole, vorrei far riflettere su una considerazione talmente seria che è stata fatta sempre ridendo, perché lui delle cose “parla seriamente, ma mai sul serio”: “alla fine è il gioco dell’amore contro la necrofilia della serietà”. Così, l’amore diventa il massimo obiettivo di “una vita a porte aperte”, una vita che vive nell’ansia “un po’ bulimica” di riempire i vuoti con le vite degli altri. Senza mai chiudere le porte alla paura, che altro non è che il colore di una vita piena.

D’amore.

Ilaria Pirchio
1D, Liceo Alfieri