Quando i nostri genitori andavano a scuola, i robot non erano che l’ultima geniale trovata dell’industria cinematografica, da Star Wars a Blade Runner; mai avrebbero immaginato che i loro figli sarebbero cresciuti circondati da intelligenze artificiali. Oggi, la nostra vita ruota intorno alle macchine intelligenti: il nostro smartphone ci sveglia al mattino con le previsioni meteo, bevendo il caffè controlliamo le notizie sul tablet, colleghiamo Spotify agli altoparlanti dell’auto e intanto impostiamo il navigatore satellitare, torniamo a casa e Alexa ci accoglie accendendo le luci e impostando la nostra playlist preferita. Nelle aule scolastiche si usa la lavagna elettronica, nelle sale operatorie i robot sostituiscono le mani del chirurgo. Mentre affidiamo sempre più la nostra vita alla tecnologia, inevitabilmente si moltiplicano le questioni etiche legate al rapporto tra l’uomo e le macchine; con il suo titolo provocatorio, L’altra specie di Roberto Cingolani affronta il problema spostando l’attenzione sul ruolo dell’uomo, l’intelligenza naturale che nessuna tecnologia potrà mai eguagliare.

La sua generazione, spiega il direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia, è cresciuta in un contesto di sviluppo economico, scientifico e tecnologico che ha permesso la creazione di macchine in grado di aumentare la forza dell’uomo, come le ruspe o i carri armati, e macchine in grado di aumentare le capacità mentali dell’uomo, come le calcolatrici e i primi computer. Negli anni i robot sono diventati sempre più sofisticati, unendo sia le qualità fisiche che quelle intellettive: il risultato sono macchine più forti e intelligenti di noi, che dunque vengono percepite come una potenziale minaccia per l’uomo. Qui Cingolani solleva una prima obiezione: è vero, i robot possiedono un’intelligenza artificiale che eccede l’intelligenza umana come capacità di calcolo, memoria, esecuzione di processi basati su algoritmi altamente perfezionati. Ciononostante rimangono macchine, fatte di metallo e circuiti elettrici, spesso di grandi dimensioni e estremamente dispendiose dal punto di vista energetico: il funzionamento della tecnologia di cui ci serviamo tutti i giorni ha un prezzo elevatissimo in termini di risorse energetiche e produzione di anidride carbonica. Le operazioni che avvengono nel nostro cervello, invece, sono meno potenti e rapide, ma sono energeticamente più convenienti. Questo non significa che la tecnologia sia cattiva, tutt’altro; semplicemente, sta all’uomo fare una valutazione costi-benefici e capire quali sono gli utilizzi indispensabili della tecnologia e quali, invece, converrebbe evitare. La robotica e le intelligenze artificiali sono uno strumento fondamentale per il progresso scientifico, ad esempio per l’esplorazione dello spazio e lo sviluppo di tecnologie in grado di diminuire l’impatto ambientale; parallelamente, limitare le e-mail e l’utilizzo dei social network, la cui utilità ai fini dell’avanzamento della specie umana è poco evidente, permetterebbe di diminuire il debito energetico e di sostenibilità.

La seconda importante osservazione riguarda l’incapacità dei robot di relazionarsi come gli esseri umani. Nessun algoritmo, per quanto sofisticato, può restituire loro la capacità di provare empatia, di autodeterminarsi, di prendere decisioni. Le macchine sono corpi distinti governati da un’unica mente; al contrario, le persone sono una pluralità di intelligenze che si comportano in modo diverso l’una dall’altra, in base ad un assetto biochimico differente per ognuno. Anche i robot di ultima generazione, che sfruttano complessi sistemi di analisi visiva per leggere il linguaggio del corpo e interpretare le intenzioni e i desideri delle persone, non provano realmente empatia: sono programmati per rispondere al desiderio dell’uomo di sentirsi emotivamente compreso.

Di conseguenza, i veri interlocutori dell’antagonismo uomo-robot sono gli esseri umani, gli unici in grado di prendere decisioni e valutare le conseguenze delle proprie azioni. Nella prospettiva di un futuro dove le persone vivranno fianco a fianco con i robot, occorre fornirsi di una regolamentazione etica, sociale, giuridica che necessariamente richiede un approccio multidisciplinare. Le intelligenze artificiali non sono di esclusivo interesse scientifico, ma riguardano tutte le generazioni future che dovranno fare i conti con “l’altra specie”. Il compito dello scienziato è dunque quello di guidare lo sguardo di tutti verso la consapevolezza: per fare questo, aggiunge Cingolani, “è essenziale formare gli educatori dei nostri figli, altrimenti otterremo delle generazioni cieche”. E se le generazioni sono cieche, il futuro non può che essere nero.

Marta Atzei, Liceo Alfieri
Agnese Giaccone, tutor