Fresco vincitore del premio letterario “La Giara”, Alessandro Musto presenta agli studenti del Liceo Classico “Cavour” il suo libro “Via Artom”; un testo in cui immigrazione, periferie e ideali della Resistenza vanno a costituire, in poco più di 300 pagine, un sinolo di attualità, quotidianità e storia.

Siamo in presenza di una narrazione interamente giocata sul parallelismo tra passato e presente, tra i quali l’autore si districa con grande maestria. In essa, viene rievocata la storia del partigiano Emanuele Artom, cui verrà intitolata la via da dove comincia la storia di Fabio, ragazzo che decide di lasciarsi alle spalle la realtà di disagio della periferia torinese, proprio quando pare imminente una riqualificazione dell’area. L’evento che determina la sua “fuga” è l’incontro con Enrica, una ragazza che gli propone inaspettatamente di affittare una stanza del suo appartamento, situato in via Sacchi. Si tratta del luogo in cui risiedeva Emanuele prima di arruolarsi tra le fila partigiane; esso fornisce all’autore l’occasione per congiungere due livelli narrativi, che si sviluppano in differenti coordinate spazio-temporali. Nella medesima abitazione, le vite di Fabio ed Enrica si incrociano con quella di Tarik, giovane marocchino che abbandona la comunità presso la quale era ospite, dopo essere rocambolescamente giunto in Italia. Da qui si snoda il fulcro narrativo, entrato ormai a pieno regime, fino all’amarezza dell’epilogo.

-INTERVISTA ALL’AUTORE-

E’ dato storico che Emanuele abbia condotto la sua guerra contro la barbarie nazifascista. A suo parere, con il necessario ridimensionamento, in quali termini si espleta la battaglia che, giorno dopo giorno, combattono le periferie?

La battaglia delle zone periferiche, non solo di Torino, è innegabilmente dotata di concretezza. Viene combattuta soprattutto sul fronte della ghettizzazione e della desertificazione; quest’ultima, sia da un punto di vista materiale sia spirituale. Risulta molto difficile dunque l’aggregazione delle menti e dei pensieri, ma continua senza sosta la costante ricerca di riscatto sociale. Il caso di via Artom è paradigmatico: tempestata per anni da degrado e criminalità, da circa un decennio è al centro di un imponente piano di riqualificazione. Ne sono testimonianza i fatiscenti casermoni popolari abbattuti tra il 2003 e il 2004.

Nella sua prima fatica editoriale, trova un certo spazio anche la realtà dell’immigrazione, ormai esacerbata dai conflitti, che plasma la propria cruda essenza tra muri, frontiere e i cosiddetti barconi della disperazione. Uno scenario simile non è però rintracciabile anche nel suo libro. Come giustifica la scelta di narrare una questione così delicata da un punto di vista, se possibile, più soft?

Diciamo che non era mia intenzione parlare dell’ennesima spaventosa traversata a bordo delle tristemente note imbarcazioni, qualora le si possa definire tali. La vicenda di Tarik è molto più semplice e pittoresca, non da notiziario o da prima pagina, ma ugualmente frustrante considerando che vede tutte le sue aspettative andare in fumo. Ho voluto focalizzare la mia attenzione più che altro sull’assenza di sbocchi che sbarra la strada a queste persone.

La dimensione diaristica si inserisce nell’opera con le cronache dal fronte partigiano curate di nascosto da Emanuele Artom. In qualità di scrittore, ha mai avvertito l’esigenza di tenere un diario?

Sì, svariate volte, ma non ho proseguito più di tanto. L’attività di scrittore, di per sé, rappresenta un’opportunità per dare sfogo, magari anche inconsciamente, alla mia introspezione. Quando mi è balenata in mente l’idea di scrivere un diario, essa aveva comunque scopi meno nobili di quelli di Artom.

Un’ultima domanda: sulla scorta del riconoscimento letterario da Lei conseguito, cosa si sente di consigliare al mondo dell’editoria, affinchè scrittori giovani e/o emergenti possano essere incentivati e incoraggiati a proseguire nella loro attività?

Il mercato del libro ha urgente bisogno di novità, di una ventata d’aria fresca. E questa può essere portata solo dalle nuove leve e dai giovanissimi. A mio parere, dovrebbe essere impiegato più tempo nella lettura dei manoscritti che giungono sulle scrivanie delle redazioni. Alcuni editori lo fanno, altri no; valide opportunità possono però essere offerte dai numerosi concorsi letterari indirizzati al panorama delle nuove generazioni.

Alessandro Tassini e Matteo Zangheri, Liceo classico-musicale Cavour
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