Vivian Lamarque è stata adotta quest’anno dalla Scuola dell’Ospedale Infantile Regina Margherita. Questo particolare incontro con i detenuti della casa Circondariale di Novara nasce dal dialogo tra il Salone del Libro e Flavia Manente della Biblioteca Civica Negroni di Novara, e della necessità manifestatasi da parte di alcuni detenuti della Casa Circondariale di Novara di poter instaurare un rapporto con i propri figli anche grazie alla lettura di libri per bambini. Ecco il resoconto della scrittrice Vivian Lamarque ha scritto per noi

Carcere di Novara  ( 21 marzo 2016)

“Dove leggerai poesie il 21 marzo, primo giorno di primavera e Giornata Mondiale della Poesia?” Rispondo che leggerò poesie in carcere e loro non capiscono perché mai e io non capisco perché mai loro non capiscano.”

Ero già stata in  carcere, un paio di volte, al San Vittore di Milano, per  un laboratorio di poesia con una decina di detenute,  mi aspetto qualcosa di simile. A Novara mi attendono la Responsabile della Biblioteca, Dott.sa Maria Cesa, e  il gentile disponibilissimo Bob Rattazzi, narratore volontario della Biblioteca e dal 2015 narratore anche nel carcere.

All’interno ci accoglie la Responsabile delle Educatrici, Patrizia Borgia e mentre ci offre un caffè mi spiega quello che avverrà, questo carcere è da qualche anno solo maschile e quindi l’incontro sarà con una trentina di detenuti uomini. Entra anche l’Educatrice Stefania, sono piene di energia bella, me la comunicano, non vedo l’ora di cominciare.

Do un’occhiata al Parlatorio dove avrebbe dovuto avvenire l’incontro, ma è una tiepida giornata di sole, proprio da primo giorno di primavera,  ci avviamo allora  verso una struttura all’aperto, passando da un bel giardino fiorito dove il giorno della Festa del Papà i bambini dei detenuti hanno giocato e incontrato i padri.

Giungono la direttrice del Carcere (lo è anche di quello di Verbania) Rosalia Marino e il Comandante Rocco Macrì e infine il gruppo dei detenuti, molti di loro passandoci davanti salutano affettuosamente Bob, il loro amato Narratore (che nell’hospice di Galliate, come clown Bobosun, allevia la sofferenza dei pazienti e dei loro familiari).  Gli chiedo di stare seduto accanto a me, potrà aiutarmi molto poiché li conosce bene tutti, anche per nome, hanno lavorato molto insieme e evidentemente nel modo giusto a giudicare da come gli si rivolgono.

Però il  nostro tavolo secondo me è troppo lontano dai detenuti e lo avvicino, mi piace la simbologia di questo gesto, mi piace modificare almeno le cose non potendo modificare il mondo (ma poi chi l’ha detto che il mondo non si possa modificare?).

Sono tanti di fronte a noi, e solidi, robusti, sembrano ancora più numerosi di quello che sono, sono attentissimi, non vola una mosca (uccellini fuori sì, è proprio il 21 marzo, cantano a squarcia gola, specie due merli; questo dà l’occasione per riflettere sulla filastrocca “dell’uccellino in gabbia che canta dalla rabbia”, sarà davvero un canto il loro? o un sos dalle sbarre?).

Intanto, nel silenzio, forse i detenuti  si staranno domandando e ora cosa ci farà questa? un discorsetto? una predica? una lezione scolastica? cosa succederà?

Succede che ho una gran voglia di sentire le loro di poesie, le mie le conosco a memoria. Sempre che ne abbiano scritte. Sì, alcuni ne hanno scritte, non le hanno qui, le hanno in cella e ottengono il permesso di andare a prenderle.

Dei due fratelli Gavino e Sebastiano, uno scrive e uno no, Sebastiano no (ma non è escluso per il futuro, tutto può succedere) e Gavino sì, ci legge i suoi versi col microfono mentre un raggio di sole gli batte sulla testa rasata, la fa luccicare, “sembra d’oro” gli dico ridendo, “sto andando arrosto” risponde, comunica una grande simpatia e vitalità; che disastro quando tutta quella energia dell’uomo  non riesce a sfociare nel bene e prende come un torrente in piena l’altra strada, a volte irrimediabilmente, voglio sperare non sia il caso di questo luminoso Gavino per esempio, o di chi prende il microfono dopo di lui, Bruno, alto, serio, con gli occhiali, i versi che legge sembrano indicare un percorso, un’avvenuta maturazione.

Poi si siede accanto a noi a leggere Salvatore, sono versi dedicati alla sorella Stefania, a Stefy; molti versi di chi è chiuso in carcere tentano di riprodurre come uno scultore con la terracotta i volti dei familiari lontani, dei figli, delle madri, dei padri, per illudersi di averli vicini. Tra una lettura e l’altra diamo la parola a chi desidera commentare, “si parla tanto di madri, ma non sempre la madre si comporta da madre” tiene a dire un detenuto e altri confermano, “è vero, è vero”.

Giusto. Colgo allora l’occasione per dire quando ho scritto la mia prima poesia: avevo dieci anni e avevo appena scoperto di avere due  mamme, quella con cui vivevo era l’adottiva, e l’altra? dov’era l’altra? Leggo a questo proposito “Il primo mio amore erano due”, loro battono le mani a me e io a loro.

Tengo a far capire che la poesia nasce quasi sempre dal dolore, da una spaccatura, da una ferita aperta, non a tavolino da una penna per forza laureata, e che nei loro momenti di disperazione, un foglio di carta e una matita potrebbe molto aiutarli, il sasso che pesa sul loro cuore, una volta posato sulla carta li farebbe sentire un poco più leggeri .

Come pure può aiutare l’incontro con una persona giusta, nel mio caso con un Dottore dell’anima, uno psicologo junghiano, a questo proposito leggo e detto loro il pensiero “Non è mai troppo tardi per avere un’infanzia felice”, e loro scrivono, come bambini che da tanto non compivano quel gesto.

Racconto che   a 4 anni io avevo già perso i due genitori naturali e anche il grande padre adottivo Dante che mi adorava, eppure lo stesso, decenni dopo, grazie a quel Dottore, alle sue parole curatrici, ho potuto riaverla “l’infanzia”, e certo poi ancora altri dolori e poi ancora del bene e dolori e bene e così via, come succede nelle  vite. Auguro anche a loro questo alternarsi di cielo nuvoloso e poi  di nuovo azzurro eccetera.

Il microfono passa di bocca in bocca, diciamo tante altre cose, loro, io, il Narratore, la Direttrice, il Comandante, le Guardie,  i merli sul ramo, anche ridiamo, anche siamo tristi, ancora ridiamo.

Chiude Salvatore con il ricordo di una filastrocca di quando era bambino piccolo, vorrebbe tanto ricordarla tutta, inziava così :

Tre pulcini andando a spasso / incontrarono una volpe  …. /

Eccola qui, caro Salvatore, basta un click su Google, ma purtroppo, lo sai, la filastrocca non ha un lieto fine:

buonasera miei piccini / e di bello che si fa? / Giacché mamma è andata fuori / siam usciti dal pollaio  / per andar di qua e di là… / Bravi bravi per davvero / voglio stringervi la mano / …..

Magari Bob Rattazzi  te la porterà tutta intera, così per un momento  l’infanzia potrà parlarti come allora. E soprattutto con le sue letture potrà additarti, potrà additarvi, la strada per condurre, anche tra quattro mura, una vita parallela, fatta di carta ma potente, assai più ricca, infinitamente più ricca e aperta, che va oltre oltre le vostre mura, una “evasione” gratis verso un altrove, anzi verso infiniti altrove, evasione senza nessuna fatica e senza nessuna successiva “punizione”.

E ricordatevi di tenere sempre in tasca un mozzicone di matita (io tengo quelle corte dell’Ikea), vi giuro che può aiutare tantissimo (come anche certe volte un bel film, mi piacerebbe che con Bob poteste guardare “I ragazzi del coro” di Barratier, sono certa che vi piacerà e magari potreste copiarne l’idea di fondo).

Dovevo scrivere una relazione, è diventata una quasi lettera, che allora chiudo con mille e mille e mille auguri a tutti quanti, proprio tutti tutti,

                                                              Vivian Lamarque