“Lei è della manutenzione ?” m’ha chiesto una bidella l’ultima volta che sono andato; ho risposto di no un po’ sorpreso, ma la domanda era più che normale: il Liceo Ferraris è enorme e le bidelle non sono certo tenute a conoscere tutti quelli che si presentano. Però m’è dispiaciuto di aver dato quella risposta, avrei dovuto essere più pronto e rispondere “Sì”. Mi piacerebbe essere uno scrittore vivente (‘vivente’ è una parola grossa, insomma respirante) che ogni tanto ha il compito di fare manutenzione in quel vecchio edificio délabré che sono gli attuali programmi scolastici in materie umanistiche, segnatamente in letteratura. Mi pare d’aver capito che gli scrittori morti se ne stanno lì, in fila dentro delle bacheche come in un museo, e che gli studenti devono adorarli più che capirli. Tra l’altro cominciando coi più lontani e incomprensibili per finire l’ultimo anno con quelli che si esprimono in una lingua più simile alla nostra attuale, invece che fare il contrario come sarebbe ragionevole. Alla fine la letteratura la odiano o li annoia; il che non è tanto grave per quelli che nella vita faranno cose completamente diverse, ma è gravissimo per quelli che amano scrivere. Dalle facce e dai brevi interventi, nella classe che mi ha adottato ce n’erano almeno cinque o sei.
Pare (così hanno scritto sul blog) che io li abbia stupiti: perché respiravo, appunto, usavo parole di tutti i giorni per parlare di Leopardi e Hoelderlin e della Dickinson – delle loro vite strozzate e del loro contatto con una voce che sembrava venire da fuori. Ne parlavo come se fossero vivi: dicevo di quand’erano giovani (qualcuno, come Rimbaud, ancora in età di liceo) e cercavano nelle parole scritte un riscatto e una rivelazione. Anch’io (pure questo hanno scritto sul blog) credevano che fossi più giovane; mi piacerebbe incontrarli per discuterne. Coi giovani (con la giovinezza, in generale) ho un conto aperto: ma ci siamo visti troppo poco per arrivare a spiegarglielo. Come ho un conto aperto con la morale e coi buoni sentimenti.
L’insegnante temeva che io li scandalizzassi. Gli studenti, credo, lo desideravano. “Scusi, ci dice il titolo del suo libro più spinto ?” I tre incontri mi hanno costretto a interrogarmi su qualcosa che avevo quasi dimenticato: tra scrittori ci si incontra in un terreno franco, nessuno ti chiede se sei una persona indegna, per educazione e perché cane non mangia cane. Così, come ci si dà del tu. Ma rileggendo i miei libri, e pensando che avrei dovuto farli conoscere a dei minorenni, ho dovuto per forza chiedermi se quei libri gli avrebbero fatto del male o del bene. Non ho potuto rispondermi, perché vigliaccamente mi sono auto-censurato e gli ho letto le pagine più innocue: non so se qualcuno poi, per curiosità, sia andato a prendersi i libri completi e se potrebbero parlarmene fuori dalla scuola. Impareremmo qualcosa sia io che loro. Di una cosa sono abbastanza sicuro: che la persona viva che gli ho fatto conoscere non li ha lasciati del tutto indifferenti; che forse ora quando pensano “scrittore” gli si forma in testa un’immagine poco scolastica. Se fosse così, una piccola manutenzione è stata fatta
Walter Siti
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