In occasione del concorso letterario internazionale Lingua Madre, che quest’anno compie dieci anni, è stata ospite al Salone del Libro nello Spazio Piemonte, la scrittrice, regista e sceneggiatrice Xiaolu Guo. Il progetto, premiato dal Presidente della Repubblica, coinvolge le donne straniere residenti in Italia e quelle Italiane che vogliono relazionarsi con quelle straniere, a scrivere racconti, che in seguito verranno selezionati e pubblicati nella raccolta “Lingua Madre”.

Nel suo libro “I’m China” l’autrice vuole rappresentare, tramite tre ragazzi provenienti dalle tre potenze mondiali, il concetto di cittadinanza nel mondo, poiché essa stessa si ritiene cittadina globale. Ciò che a lei sta stretto è il significato di identità come un costrutto dello Stato, come se la nazionalità definisse il singolo essere umano. Il titolo dice molto sul carattere del libro, enfatizzando la sua vita e lo stretto rapporto che la lega alla Cina, suo Paese natio, e a Parigi, Berlino, America e Londra, dove attualmente risiede. Essa stessa, quindi, si sente un’auto-esiliata, senza dimora.

Altra sua opera, “ 20 frammenti di gioventù vorace”, è un monologo, un flusso di coscienza, scritto appena diciassettenne e trasferitasi da un piccolo villaggio rurale alla grande metropoli di Pechino. Particolare la copertina del libro: una pianta carnivora che mangia gli insetti, metafora della voracità della gioventù, di quando si è giovani e affamati di tutto. Anche in quest’opera si analizza la rabbia verso la politica, l’insofferenza nei confronti dello stato che controlla la società, qualsiasi sia la forma di governo. Ma la sfida è capire chi siamo veramente e come dice la scrittrice: “Chi vive il maggior numero di vite possibile è una persona libera e fortunata”.

Viene elogiato in modo particolare la bravura della Guo nello scrivere un romanzo in una lingua che non le appartiene: “Quando mi sono trasferita soffrivo di solitudine intellettuale, non potendo esprimere ciò che provavo mi sono sforzata di apprendere quella lingua per comunicare come vivevo e come mi sentivo”.

L’autrice, inoltre, ringrazia il lavoro della sua traduttrice in italiano e ricorda il duro lavoro di trasposizione dal cinese, definendolo una lingua vaga e oscura per gli occidentali, in quanto privo di tempi verbali e generi grammaticali.

Sollecitata da una domanda del pubblico, Xialou Guo riflette sui valori che la cultura asiatica le ha trasmesso, appresi dai suoi nonni, quali il lavoro duro e il rispetto per il passato ma sopratutto per la natura: sia occidente che oriente devono riconquistare la connessione che si è andata a perdere con essa.

Federica Pili, Sara Gurizzan M.Grigoletti, Pordenone