Quando penso al Giorno della Memoria e al valore che ha assunto negli anni quale testamento morale in mano alle giovani generazioni, non posso fare a meno di pensare al contempo alle posizioni negazioniste di coloro che, sotto l’etichetta altisonante di “revisionismo storico”, mettono in atto un’operazione per così dire di “disturbo” rispetto alla rievocazione di quanto successo durante la Shoah che doverosamente, almeno una volta all’anno, ricordiamo attraverso l’analisi e la diffusione di documenti storici, fotografici e di testimonianza diretta dei pochi superstiti ancora viventi.
Mi chiedo da dove possa aver origine questo desiderio di essere, per così dire, controcorrente, di negare quanto ormai è di pubblico dominio, come certe atroci immagini che sono stampate nella mente di ognuno di noi.
Cerco risposte, per poter capire, per non odiare a mia volta chi fa torto a chi violentemente ha subito la privazione della dimensione umana.
Forse è paura dell’orrore.
Già, l’orrore fa paura. Meglio negarlo. Quante volte succede? In quante famiglie talvolta si nega l’esistenza di violenze domestiche per allontanarne il disgusto?
Con le vittime dell’Olocausto è ancora più facile: non sono che numeri.
Forse è odio.
Odio che si autoalimenta, odio che non si ferma davanti all’evidenza e che supera la voce di chiunque cerchi di sollevare un grido di sofferenza. Odio per chi viene considerato meno degno. Odio verso chi non dovrebbe o non avrebbe mai dovuto vivere.
Forse è volontà giustificatrice.
In fondo potrebbe essere tutto un grande errore: chi deteneva il potere non era del tutto consapevole di quanto stesse accadendo. Chi ha creduto o crede nella bontà di quel regime, non può ammettere una volontà di male assoluto, una volontà di sterminio. Nessun piano, pura casualità.
Per quanto mi sforzi, ogni ragione è peggio della precedente.
Ogni mio tentativo di dare senso al negazionismo si schianta contro il senso dell’umana compassione e del valore del sacrificio di tutti quegli innocenti che inconsapevolmente, ci lasciano un monito che quotidianamente dovremmo ricordare e non soltanto il 27 gennaio: non basta appartenere alla specie umana per definirsi uomini.
Se alcuni in passato hanno saputo e voluto sterminarne altri a migliaia, altri ancora in futuro potrebbero esser capaci di fare altrettanto. Con volontà forte non saremo tra quelli. E così insegneremo ai nostri figli. Giusto per non dimenticare…di essere uomini tra uomini.
Andrea Musso
redazione Alfieri
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