Ormai è giunta sera al Salone: è l’ora di rilassarsi e ascoltare l’attore Fabrizio Gifuni che legge il capolavoro di Carlo Emilio Gadda Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, definito “un libro che contiene molti libri: è un saggio, un’opera teatrale, tratta di sociologia, d’amore, di filosofia”. Assaporare le parole dell’attore è stata un’esperienza quasi paradisiaca: la sua lettura è profonda, pensata, quasi corporale; l’attore si immedesima nei personaggi quasi fosse anche lui dentro la storia.
Inizia la lettura dell’incipit: Gadda presenta il protagonista, Francesco “Don Ciccio” Ingravallo, commissario della Squadra Mobile di Polizia, praticamente un alter-ego dello scrittore: schivo, realista, con un accento che mischia vari dialetti del sud Italia . Andando avanti, poi, troviamo “dissolvenze incrociate”, che, dice Gifuni, “si sentono meglio leggendo ad alta voce” per la loro complessità; la lingua difficile di Gadda, il suo strano italiano, sono spesso catalogati dalla critica come pastiche, barocco, modernista, parole che non significano nulla: lo scrittore usa un italiano che ci “squaderna”, ci scombussola, usa quasi la lingua di Dante, scatenando un problema che in realtà è del lettore. Forse solo Calvino riesce a descrivere bene l’opera di Gadda: “romanzo contemporaneo come enciclopedia”. Dunque, le parole difficili, spesso e volentieri, nascono da una precedente ferita: ciò può far nascere una scrittura tragicomica, quasi una piéce alla Ionesco. L’Italia descritta dall’autore milanese è come la Danimarca dell’Amleto di Shakespeare: la follia della lingua le accomuna.
Fabrizio Gifuni, con la lettura (e interpretazione) di questa meravigliosa “meteorite”, corona un sogno: lesse infatti il libro a 20 anni e ne rimase folgorato. Ed ha folgorato pure noi. Chapeau Gadda, chapeau Gifuni.
Irene Camerani
Liceo Classico Ludovico Ariosto, Ferrara
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