Presentazione del libro “Madonna liberaci da Putin! Le Pussy Riot scuotono la Russia (e non solo)” di Andrea Vania (pseudomino per mantenere l’anonimato).

Una piccola libreria del quartiere Vanchiglia, dal nome alquanto elettrizzante: “Libreria pecore elettriche”, diventa teatro di un infervorante incontro che racconta non solo un libro, ma una realtà, o meglio, diverse realtà che confluiscono tutte nella lotta di un gruppo di giovani donne, femministe e guerriere: le Pussy Riot.

Le conoscete vero? Probabilmente la televisione o come la chiamano in Russia la “Scatola-Zombie“,  vi avrà mostrato l’immagine di quelle ragazze, volto coperto e abiti stracciati, che hanno offeso la comunità ortodossa con la loro blasfemia, girando il video della canzone “Madonna liberaci da Putin” nella Cattedrale del Cristo Salvatore, durante una celebrazione religiosa.
Molti non sanno, però, che la loro non era fame di fama, ma una sincera preghiera-denuncia sull’ormai troppo stretto rapporto Stato-Chiesa.
Sono state arrestate e condannate a due anni di reclusione utilizzando proprio quella falsa blasfemia come capo d’accusa, quando in realtà lo scopo di quest’ingiusta punizione era togliere di mezzo coloro che tentavano di far aprire gli occhi al popolo russo.

Sulla scia delle statunitensi Bikini Kill, gruppo femminile punk dei primi anni ’90, le Pussy Riot creano il loro gruppo musicale e utilizzano proprio questo canale per manifestare alla Russia intera (e non solo) il loro dissenso contro un paese conservatore e dittatoriale, dichiarandosi convinte femministe e oppositrici nei confronti delle politiche del governo.

La location di quel video che ha suscitato tanto scalpore ha fornito a Putin & Co. un facile espediente per nascondere il reale motivo dell’arresto.
Dal carcere Nadezda Tolokonnikova scrive una lettera al marito descrivendo le condizioni del suo “centro di rieducazione”, il lager (come lei stessa lo definisce) del XXI secolo.

“Dividi et impera”, questa è l’ideologia dei capi delle carceri dove alienazione, umiliazione e violenza ricordano le condizioni dei campi di concentramento nazisti. I capi mettono le detenute una contro l’altra, il lavoro è insopportabile ed interminabile, si lavora 17 ore al giorno, domeniche comprese. Questi sono solo due dei tanti esempi possibili che fanno inorridire l’Occidente, eppure come ci racconta Mikhail Amosov, il traduttore e collaboratore alla stesura del libro, in Russia anche il lavoro di un normale cittadino non è poi così diverso. Mikhail ci racconta di come egli stesso si sia trovato in condizioni lavorative simili: orari di lavoro di 15 ore (quando andava bene), una pausa ogni quattro per andare al bagno e un dissenso dei suoi datori di lavoro verso quello spontaneo cameratismo tra colleghi.

Da questo squarcio di vita reale, con l’aiuto di Claudio Fucci abbiamo compreso poco alla volta come la mentalità diffusa nel periodo dell’Unione Sovietica abbia ancora oggi lasciato un’ impronta indelebile nelle coscienze. Parole come femminismo e opposizione politica sono viste non come forme di libero pensiero, bensì come istigazioni alla disobbedienza delle regole.

Ora spegniamo le nostre Scatole-Zombie e preghiamo insieme: “Madonna liberaci da Putin!”.

 

Alice Ardizoia e Costanza Beck
Liceo Einstein,  Circoscrizione 6