Possiamo tranquillamente ammetterlo senza rischiare di incorrere in ire ultraterrene: siamo dei privilegiati. Parlare di lettura è difficile, si invade il campo vitale delle passioni di una persona, cosa abbastanza sconveniente e ben poco sabauda, quindi riuscire a parlare di lettura è già, di per sé, un privilegio. Si chiede conto dei tempi e delle modalità di una scelta libera e molto personale, commettendo un peccato di voyeurismo.

I discorsi sulla lettura diventano più semplici da gestire quando vengono fusi con le logiche di indagine che la maggior parte delle persone ritiene più conformi alle proprie abitudini di vita, ovvero quando si indaga l’abitudine di lettura come un consumo paragonabile a quello di una particolare tipologia di bene. In questo modo si priva, forse, la lettura del suo carattere di scelta – un po’ romantica – di investimento temporale solitario e la si accomuna all’acquisto di un servizio di svago, una sorta di smartbox, di cui è ben più facile parlare senza imbarazzi rispetto a una passione poco razionale nelle sue logiche costo-benefici in termini di tempo e fatica.

Questa facilitazione dei discorsi sulla lettura in un’ottica di consumo è forse uno degli elementi che spiega il successo di iniziative come quella del Salone e tutto l’insieme di discorsi e riflessioni sulla lettura che il Salone si porta dietro.

In un’ottica diffusamente commerciale l’interesse per la lettura viene giustificato e, anzi, viene incentivato da un insieme di fattori capace di determinare ogni anno un grande successo di pubblico.

Il nostro privilegio consiste nel disporre di un ottimo campo di gioco e di poterci fare degli esperimenti. Il Salone racchiude al suo interno masse di persone che scelgono di frequentarlo perché decidono, in un certo senso, di dare un prezzo al loro interesse per il mondo della lettura. Possiamo sfruttare questa combinazione di avvenimenti per cercare e saper riconoscere, all’interno di un sistema che è commerciale, ciò che commerciale non è, parafrasando Calvino, ma tenendoci ben lontani dall’associare la qualità di commerciale alla categoria di Inferno.

Stiamo insomma cercando di capire quanto della natura della lettura sia legato all’aspetto commerciale, mettendo il focus sulla passione originaria delle persone, al di là dei ragionamenti di marketing, trovandoci però a gestire la diffidenza, che emerge tra le righe dei questionari, di alcune delle persone a cui ci rivolgiamo per l’indagine.

Un luogo dove la lettura è sganciata dagli aspetti commerciali è, sicuramente, la biblioteca.

La domanda di fondo che sta animando la nostra inchiesta è: le biblioteche, al di là dell’offrire un servizio gratuito che le pone fuori dalle logiche commerciali, hanno una ragione di esistere e delle specificità? Le persone a cui somministriamo i questionari stanno rispondendo a questa domanda e stiamo notando che c’è una sorta di diffidenza rispetto alla gratuità.

Incuriositi da questa tematica emersa dal confronto con i visitatori, il filo conduttore degli incontri che abbiamo seguito ieri è stato quello delle questioni economiche e della gratuità.

Nell’incontro “La cultura degli italiani. Treccani 1925-2015”, venerdì pomeriggio, si è parlato di come il fatto di mettere in rete, a disposizione del pubblico, tutto il patrimonio scientifico dell’enciclopedia abbia costituito una vittoria “alla sfida della rete”, confermando la vocazione della Treccani a “fare cultura” e non propaganda, garantendo agli utenti un’autorevolezza libera da interessi economici. La sfida Treccani è sicuramente un esempio: la gratuità del materiale disponibile online non ha determinato alcuna concorrenza al cartaceo, l’enciclopedia continua a stampare e ad aggiornare le sue risorse sulla rete. La tipologia di gratuità così elaborata dalla Treccani funziona, un ottimo stimolo a riflettere su una modalità di comunicazione di autorevolezza che possa coinvolgere la biblioteca.

Francesca Martino