Michela Murgia, vincitrice del premio Campiello nel 2010 con Accabadora, ha intervistato Luca Molinari sul suo libro Le Case Che Siamo.

Acquistare una casa corrisponde da sempre al momento in cui si raggiunge l’equilibrio ricercato nella vita. La casa, infatti, oltre ad essere una delle basi della città moderna, non è solo uno sfondo della nostra vita, ma è anche un luogo intimo e protettivo in cui ci rifugiamo, come il più saggio dei Tre Porcellini, per sfuggire alla caotica città che tanto ci spaventa. Difatti questa favola che sempre si è raccontata ai bambini è una ovvia metafora del “costruire borghese”. Se si pensa in particolare a questo personaggio, dimostratosi il più furbo, si può constatare che, nel racconto, costruisce una casa dotata di tutti quei comfort, di cui l’uomo ha sempre avuto bisogno: solidità, privacy, protezione, stabilità.

Si è parlato inoltre di co-housing, dove il pianerottolo, spazio dall’autore sempre malvisto, è divenuto molto importante. Si tratta infatti di un luogo che oggi, ad esempio, i bambini utilizzano per giocare e per passare da un’abitazione all’altra. In merito, Molinari sottolinea l’importanza ci questo aspetto, che risponde al nostro “bisogno di aprire le porte e di stare insieme”, mentre d’altra parte tendiamo sempre più a chiudere le porte per distanziare da noi il rumore dell’esterno. Inoltre le porte sono sempre state necessarie per separarci dagli altri, celare le nostre abitudini dietro ad una barriera resa ormai inutile dai social. Nell’epoca moderna, detta dello sharing, in cui la privacy esiste solo all’interno delle nostre abitazioni, le porte risultano una contraddizione: nascondere o mostrare?

Anche gli oggetti che una volta caratterizzavano le nostre case sono stati colpiti dallo sviluppo delle tecnologie. I devices hanno infatti sostituito in gran parte tutto ciò che conservavamo della nostra vita e che quando veniva ritrovato in mezzo alle cianfrusaglie, ci riportava alla memoria ricordi il passato.

Lucrezia Penna, Arianna Poli

Liceo Ariosto