La fisica è un’attività di visionare, di prevedere quello che ancora non c’è.
Oggi sabato 14 maggio, Roberto Cingolani, che ci rende orgogliosi di essere italiani (come ha detto Ferrero), ha tenuto l’incontro “Costruire il presente”.
Il dovere di uno scienziato, oggi, è quello di interrogarsi su quale sarà il futuro del pianeta in cui vivranno i nostri nipoti, che probabilmente non conosceremo nemmeno. Tutti gli scienziati dovrebbero avere questa idea di fondo.
Il motore fondamentale dell’approccio di Cingolani e del suo team, è quello è di decidere dove bisogna andare: la loro idea è di costruire un impianto di tecnologie attorno all’essere umano. Hanno sviluppato un complesso di scienze che possano aiutare l’uomo nei suoi prossimi passi.
Per capire c’è da fare una premessa: tutto è fatto da 5-6 atomi che sono organizzati con strutture completamente diverse. Fondamentale è l’architettura con cui questo atomo costituisce la struttura. La prima domanda dello scienziato è quindi chiedersi come funziona l’essere umano per poi cercare di riprodurne l’architettura, sviluppando tecnologie per ora imitative che servono a migliorarne la situazione.
Ogni architettura ha una sua complessità (data dal numero di atomi) che quando aumenta porta questi sistemi a muoversi e a produrre lavoro meccanico. Subentra la bio meccanica fino ad arrivare alla cognizione, il centro di comando. Sulla scala della complessità, si gioca una partita che copre tutto quanto lo scibile della tecnologia che cerca di fare copie meno efficaci dell’originale creato dalla natura.
Dopo questa breve introduzione, Cingolani ci ha mostrato come sono formati e come agiscono i diversi esempi di strutture sintetiche a cui lui e il suo team hanno lavorato.
-L’anticorpo robotico deve essere in grado di sentire, di rispondere a un cambiamento di ambiente, deve farci vedere dove ciò che c’è di strano avviene e laddove si siede, deve rilasciare un medicinale (se trova qualcosa di malato). È una macchinetta da guerra in grado di riconoscere una cellula malata e di rilasciare lo specifico medicinale. Gli anticorpi robotici scaldano anche le stesse cellule che sono state selettivamente individuate. (Questa sperimentazione prima di andare nell’essere umano deve essere testata sugli animali).
-Il plantoide è una pianta robotica. Le sue foglie rispondono all’umidità e sono in grado di fornire energia. La radice è gravotropica, ha delle caratteristiche per cui evita l’ostacolo, le temperature calde e cresce. La combinazione di questi elementi fornisce due applicazioni fondamentali: la prima consiste nel pensare che oggetti meccanici possano piantare radici e la seconda è credere a una radice che cresce nel corpo umano e che quindi è in grado di andare dove la chirurgia non arriva. Questa tecnologia sfrutta pienamente l’effetto della radice.
-L’animale robotico consiste in un animale che si muove in autonomia e che è stato pensato per situazioni di grande pericolo. Farlo muovere significa sincronizzare la sua vista e la sua bio meccanica alle situazioni che cambiano nel tempo. Queste due condizioni verrebbero poi applicate per portare gli animali robotici a situazioni in cui gli esseri umani non possono andare, come in una situazione nucleare. La miglior struttura locomotoria è quella del quadrupede.
-L’umanoide: vediamo ora la situazione più difficile. La vera domanda in questo caso è: quanto possiamo andare lontano?
In realtà, il vero miracolo della tecnologia è l’essere umano a cui si può soltanto provare ad avvicinarsi.
Il nostro corpo è adattato al processo cognitivo, ha un cervello con udito e parola che diventano strumenti: è molto interconnesso. Viceversa, un robot non è facilmente adattabile ed è poco interconnesso.
Oggi la capacità delle macchine permette di fare un milione di attività al secondo, cosa che equivale alla struttura e al movimento di un insetto, per cui per arrivare a un essere umano ci sono problemi di dimensioni e potenza. L’uomo riesce meglio di una macchina e con meno energia perché ha zone del cervello progettate per supervisionare più azioni contemporaneamente. Questa economia di scala è pazzesca: abbiamo pacchetti di neuroni che fanno cose apparentemente separate. E questa flessibilità in una macchina, in un robot, ancora non sappiamo metterla.
Dato un computer, noi facciamo un umanoide che però non è un umano.
Noi siamo delle macchine fantastiche. Con un po’ di zuccheri e grassi abbiamo energia. Siamo una macchina da 1000 watt. Non siamo molto diversi da un frigorifero. E allora perché un frigorifero o un umanoide devono per forza andare a energia?
Bisogna poi cominciare a fare un corpo umano con una pelle che riconosca se viene toccata. Noi andiamo per funzione, non per posizione. Un robottino deve imparare a essere come noi, perché la funzione la recepiamo attraverso il tatto.
Ciò vuol dire che questo robottino è un mostro con 4000 sensori costantemente processati da un’intelligenza artificiale che deve calcolare e capire cosa sta succedendo e riuscire a reagire.
Il futuro richiede tecnologie sempre più sofisticate, sopratutto nel touch.
Un umanoide può avvicinarsi alla realtà, ma le sue capacità, per il momento, sono estremamente ridotte. Solo un giorno si riuscirà a sviluppare un organismo in grado di affiancare l’uomo in molte situazione, ma per ora la ricerca di questo futuro progredisce.
Camilla Brumat
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