Ci sono date che rimangono impresse nella memoria collettiva. Sono quelle date che, quando vengono rievocate, fanno sì che tutti inizino a riepilogare mentalmente dove si trovavano o quello che stavano facendo, mentre il mondo tremava, a un’ora qualunque di un giorno di chissà quanti anni prima. Ad oggi una nuova data si è aggiunta alla lista: il 13 novembre 2015. Parigi, il teatro Bataclan è stato lo scenario di un attacco terroristico che ha segnato profondamente la popolazione francese e, con essa, tutto l’Occidente.
E noi, cosa stavamo facendo intorno alle 22 di quel giorno?
Antoine Leiris si trovava a casa sua, con il figlio di appena diciassette mesi, ed aspettava il ritorno della moglie dal concerto.
Antoine Leiris, giornalista, scrittore, ma soprattutto un padre e un marito che ha perso la propria compagna, durante quell’attacco al Bataclan.
È dal suo dolore che è nato il libro “Non avrete il mio odio”, il racconto di un frammento di vita, dei dodici giorni successivi all’attentato, forse i più tragici della sua vita: si è visto costretto a dire addio al grande amore della sua vita, ma ha anche posto le basi per il suo futuro, felice e pieno per quanto il destino gli abbia concesso, solo lui e il figlio, due avventurieri.
Nello scrivere, non ha scelto parole d’effetto, non ha voluto suscitare di proposito compassione o rabbia nei lettori; ha semplicemente raccontato, messo per iscritto il suo dolore, che è diventato il dolore di tutti.
Eppure è vero, leggendo ci si commuove, ma è giusto che sia così; l’importante è comprendere a fondo il messaggio del libro che, in tutte le sue centoventi pagine, è un inno alla speranza.
Per Antoine Leiris il modo migliore per reagire dopo l’attentato di Parigi è conservare la speranza di tornare a vivere, grazie all’amore che lo lega al figlio e all’energia positiva che in lui ritrova: non vuole rispondere all’odio con odio, non vuole usare le stesse armi dei terroristi, non può dar loro questa soddisfazione. Si appella alle armi democratiche, proprie del nostro mondo, per dimostrare la potenza dei nostri valori, che loro considerano troppo deboli.
La vita riprende il suo corso regolare troppo velocemente, non aspetta nessuno: lui ha ripreso a vivere, assieme a suo figlio, grazie alla propria determinazione, alla scelta di non odiare e alla solidarietà che hanno ricevuto dall’esterno. E, come lui, lo hanno fatto le tante altre vittime indirette di quel tragico avvenimento.
Il suo compito è stato quello di testimoniare, di trasmettere un messaggio che non era più solo il suo, ma apparteneva un po’ a tutti: non odiare, continuare a vivere nonostante il dolore. La felicità è la migliore dimostrazione di forza.
“Siamo in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo tornare da Melvin che si sveglia dal sonnellino. Ha soltanto diciassette mesi, farà merenda come ogni giorno, poi andremo a giocare come ogni giorno, e per tutta la vita questo ragazzo vi farà l’affronto di essere felice e libero. No, non avrete nemmeno il suo odio.” Questo è il brano finale dell’emozionante lettera che ha anticipato il libro e che, nei giorni successivi al 13 Novembre, ha fatto il giro del mondo, dando una voce, un nome e un volto a quella strage.
Roxana Budui, scuola media Caduti di Cefalonia
Sara Tavella, tutor fuorilegge
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