“Vivere per sempre”, e non per caso. Durante la conferenza che vedeva protagonista l’arcivescovo Vincenzo Paglia, intervistato da Giovanni Agasso, giornalista vaticanista per “La Stampa”, in merito alla presentazione del suo ultimo libro sono emerse considerazioni molto profonde dalle quali era difficile non farsi influenzare. L’obiettivo a cui l’autore aspira è quello di riuscire a parlare di un tema che spesso viene occultato, in ambito e ecclesiastico e laico, per la scarsa reperibilità di termini, ovvero l’aldilà. Paglia ha subito specificato la sua visione personale della morte, che non rappresenterebbe la conclusione della vita sensibile (o una banale divisione dello spirito dalla carne), dal momento che inferno e paradiso, ammesso che esistano, si troverebbero già durante il percorso terreno. Offre dunque un’interpretazione secondo la quale il decesso porterebbe a un confronto diretto con Dio, volto all’esame della propria anima, durante il quale il Signore perdona ogni peccato: davanti a una simile dimostrazione d’amore da parte dell’Onnipotente, il peccatore non può che provare una sensazione di profonda vergogna, interpretata come il passaggio attraverso il purgatorio. Di conseguenza la vita non viene interrotta, ma si prolunga in base ai comportamenti adottati in precedenza. L’autore ritiene che pensare che la vita giunga semplicemente al termine e che l’essere umano sia solo una parentesi tra due nulla, sia contrario alla ragione: non è possibile che ciò che avviene in questa parentesi sia privo di significato.
Nel complesso, la conferenza si è rivelata molto interessante abbattendo qualunque barriera di tipo religioso e lasciando spazio a un dibattito aperto tra religiosi e non credenti.
Andreea Quaglia e Francesco Vitali
Liceo Alfieri
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