È stata una doppia festa nella Sala Gialla: finiva il Salone, finiva Adotta uno scrittore. Che cos’è Adotta uno scrittore? Beh, in sostanza si può definire come un generale sconvolgimento di pregiudizi e punti di vista: da parte di studenti, da parte di scrittori.

Ma facciamo un passo indietro: tutto è iniziato con l’adozione di venti autori —fra cui Walter Siti, (Premio Strega e Mondello 2013), Ubah Cristina Ali Farah, scrittrice e poetessa vincitrice nel 2008 del Premio Elio Vittorini, e Roberto Recchioni (“la rockstar del fumetto italiano”, autore di Tex)— da parte di altrettante classi; lo scopo era portare la letteratura un po’ più vicina al cuore dei giovani. Ma allora qual è la differenza rispetto al Salone del Libro, se il fine è solo quello di diffondere la passione per la lettura? Al Salone ci vengono solo i ragazzi che sono già interessati; negli incontri che si possono seguire nei padiglioni, poi, si capisce ben poco dell’anima di uno scrittore: quando in un’ora ti trovi a parlare ad un centinaio di persone non crei nessun tipo di contatto con loro. Ed ecco la differenza: nel corso del progetto invece, questi poeti, questi narratori e fumettisti, giornalisti e persino cantanti si sono trovati costretti a costruire un legame con le singole classi che si sono trovati davanti, nel corso di un confronto di sei ore.

È incredibile quante cose si possano trovare o riscoprire in sei ore.
Generalizzare non è possibile: alcuni scrittori sono stati inviati a scoprire le realtà delle classi di carceri minorili o addirittura a ritornarci dopo averci passato una vita, altri hanno sbandierato le proprie origini mediorientali in un covo di leghisti, Fabio Stassi è stato mandato a Lampedusa, il posto più a sud d’Europa, viaggiatore senza senso dell’orientamento e sperduto in quella realtà così difficile da immaginare.
Le loro aspettative erano altrettanto eterogenee: alcuni erano spaventati all’idea di parlare a liceali; altri, fra cui la Murgia, sono partiti con una certa dose di presunzione e pregiudizi, per dirla tutta (d’altronde, si sa, i libri nelle scuole ci vanno a morire), altri ancora non avevano nessuna voglia di tornare in quel posto tanto odiato ai tempi in cui erano dall’altra parte del banco; alcuni avevano il difficile compito di far piacere qualcosa che piaceva solo a loro, si trattasse di matematica o filosofia; Igiaba Scego ha dovuto mostrare il coraggio di mettere da parte le ragioni per cui era stata chiamata e mettersi in gioco: ha chiuso il libro che avrebbe dovuto presentare e ha fatto dono alle ragazze delle sue esperienze.

Qual è stato il risultato? I poeti hanno riscoperto la poesia “trovandola nel volto dei loro ascoltatori”, i ragazzi hanno dissotterrato, dal profondo di se stessi, parole che giacevano inascoltate; alcuni studenti hanno fatto filosofia per una volta senza libri, argomentando e imparando a prestare attenzione ad idee diverse; un bibliotecario ha conosciuto per la prima volta una biblioteca vera, ancora non contaminata dalla modernità e dello snobismo di quelle universitarie; un ex carcerato, dopo essere finito dentro per essersi perso, ci è ritornato per ritrovarsi; un uomo il cui volto era celato da una maschera è riuscito a comunicare l’importanza della propria identità personale. Si sono incontrate culture diverse, si sono conciliati punti di vista prima troppo diversi, ci si è arricchiti reciprocamente.

Questo è il senso di una visione: un sogno che si concretizza in un progetto, in un’iniziativa di grande sostanza, non solo di vetrina. Questa è una visione…

Sara De Mola, tutor FuoriLegge

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