Secondo il mito greco, ‘Arcadia‘ è un luogo perfetto, in cui i suoi abitanti possono vivere al sicuro da tutti i mali del mondo. Nell’omonimo libro di Lauren Groff, ‘Arcadia’ diventa l’utopia di una società in cui avviene la sorprendente disintegrazione della natura umana, simbolo dell’estrema fragilità di un sogno che può trasformarsi in incubo.

Il romanzo, ambientato negli anni settanta del novecento, è la storia di una comunità hippie che, insediatasi in una vecchia casa abbandonata, costruisce il “luogo ideale” dove vive libera dalle regole di un mondo che non le appartiene. Qui nasce Briciola, protagonista del romanzo: divenuto uomo, abbandonerà Arcadia ed entrerà in una società completamente diversa, confrontandosi però sempre e comunque con un  passato che non potrà cancellare.

La presentazione del libro si apre e si conclude con la lettura espressiva di Federica Cassini di due brani da ‘Arcadia’. Accanto all’autrice Lauren Groff, regina dell’incontro, ci sono Marco Ponti e il traduttore Tommaso Pincio. A loro due, che confessano di amare profondamente la storia di Briciola, il compito di esporre i temi del romanzo: la morte, presente nel romanzo sia in forma fisica che metaforica con la distruzione del luogo dal quale è scappato Briciola e della sua armonia; la famiglia, con il rapporto costruito sulla lontananza e vicinanza di padri e figli; la determinazione di non porre mai limiti ai propri sogni, consapevoli che a farlo sarà la vita. Emerge infine il tema del “digiuno digitale”, quando uno dei personaggi (un’alunna del professore Briciola) si priva completamente della tecnologia, scoprendo così un mondo che non aveva mai considerato. La stessa autrice racconta di praticarlo abitualmente e spiega: “Quando mi connetto, mi estraneo dal mondo, sollevando su di me uno scudo che mi impedisce di conoscere tutte le cose che ne stanno al di fuori”.

‘Arcadia’ è stato scritto in un periodo molto difficile della vita della Groff che, incinta, si era appena trasferita in una nuova città ed aveva letto un libro traumatizzante. Sconvolta inoltre dall’imminente crisi che si stava per abbattere sulla società, si è chiesta come avrebbe potuto dare alla luce un figlio in questo mondo che andava via via sgretolandosi. Ha ricercato così un motivo per il quale continuare a lottare, per sè e per il figlio, e lo ha trovato nelle persone felici accanto a lei, che costruiscono un mondo libero tutto loro: ha capito quindi che “anche se sappiamo che dobbiamo morire, che tutto deve finire, questo non significa che non valga la pena vivere e mettere tutto l’impegno possibile nelle cose che facciamo. Dobbiamo vivere nel momento”.

Giovanna Buzzo, Sara Gurizzan liceo scientifico M.Grigoletti Pordenone