Auschwitz, 13 Febbraio 1944
Oggi non è una giornata qualunque, è molto che non scrivevo qualche parola in questa agenda, ma ora che ne ho tempo posso solo riportare notizie che mi divorano da dentro come una malattia. Oggi all’appello per le docce ho sentito chiamare il numero di mia sorella più piccola: è una ragazza sveglia, lo è sempre stata e di sicuro sa cosa succede alle persone che vanno alle docce! Sono terrorizzata! Non l’ho neanche vista, non ho potuto salutarla o darle qualche parola di conforto, sono davvero spaventata, confusa. So cosa la attende eppure una parte di me spera di sbagliarsi o si illude di aver sentito male il numero chiamato, non possono aver scelto proprio lei, devo essermi sbagliata! Ho visto la gente come reagisce quando una zia o una figlia viene chiamata, c’è chi strilla disperata o chi impazzisce dal dolore, ma è tutto inutile, non cambia niente, c’è anche chi si è offerto per uno scambio e ha ottenuto solo di venir aggiunto alla lista insieme agli altri. Non c’è compassione, svolgono solo il loro lavoro e se qualcuno si offre di facilitarlo non hanno problemi, ben venga. Non avevo mai capito quanto potesse essere un dolore reale perdere qualcuno di importante, è qualcosa di consistente, qualcosa che ti opprime il petto e ti toglie il respiro, è un dolore che non puoi capire se non quando ti ritrovi a combatterlo.

È impossibile combattere contro un gigante però, ti senti impotente, sei impotente, è cosi che mi sento: so che sto per perdere una sorella, so che non le ho detto addio, so che non la rivedrò mai più eppure non posso farci nulla, passa tutto in secondo piano, tutto, a partire dalla fame fino ad arrivare anche alla ‘Casa’, non mi importa più di nulla, perde tutto senso. Mi sento più sola adesso o forse è solo che sono davvero sola, cosa possiamo fare noi rinchiuse qua dentro? Ci si sente abbandonate dal mondo, siamo sole. Non ho più voglia in questo momento di portare avanti una vita così anche se non può essere

Auschwitz, 13 Giugno 1944
Ho deciso che oggi scriverò quest’ultima pagina solo per comunicare un pensiero, che ritengo di dover affidare a questo foglio. Non ho idea di come andrà a finire, l’unica cosa che so per certo è che sta per arrivare il mio momento di morire, è come se lo sentissi nell’aria o probabilmente lo desidero soltanto. Ho vissuto troppo a lungo, non è giusto che a me sia stato concesso tutto questo tempo mentre ad altri come a mia sorella sia stato strappato in modo violento, spero solo che questa sofferenza così prolungata non sia casuale. Voglio poter credere di essere sopravvissuta così a lungo per una ragione, queste poche pagine di diario a cui ho affidato i miei pensieri confusi forse aiuteranno a non dimenticare le ingiustizie sofferte da tutti noi. La mia speranza ora sta nel fatto che si vorrà fare luce su quello che è successo qui e se nella ricerca troveranno questa agenda, leggendo troveranno solo conferma a quello che non vogliono vedere, sempre che non vada distrutta prima. Sono parole che forse per chi leggerà non avranno valore, ma per me si, rappresentano il mio dolore, la mia esperienza. Tutto quello che è successo non deve essere dimenticato perché se così fosse le cose potrebbero ripetersi. Lascio quindi questo messaggio a chiunque verrà: per favore non dimenticate, non potete dimenticare, raccontate ciò che abbiamo subito in modo che non possa ripetersi.

Stefano Caratozzolo 4E

Antologia della Memoria realizzata dai ragazzi del Liceo Scientifico Grigoletti di Pordenone