Auschwitz, 20 Gennaio 1944Sono trascorse ormai alcuni giorni da quando io e mia sorella siamo state trasferite qua da Ravensbruk, probabilmente perché ormai il campo non riusciva più a ‘smaltire’ tutte le persone che entravano ogni giorno sempre in numero maggiore, a centinaia. Allora hanno deciso che era meglio trasferirci a migliaia in un campo più grande e più efficiente a svolgere quello a cui sono destinati questi dannati luoghi.
Valiamo meno di oggetti noi donne, non c’è più rispetto per la vita altrui, ci hanno tolto tutto e in cambio ci hanno dato una triste divisa a righe che non ripara né dalla neve né dal freddo, sono riusciti anche a toglierci il nome e a sostituirlo con un semplice numero che ci marca come prigionieri il cui destino è già stato scelto. Siamo marchiate, probabilmente moriremo qua, ma non ne sono spaventata: per molti di quelli che sono rinchiusi la morte non sarebbe altro che una liberazione da questa vita di inutile sofferenza.
Perché è questo a cui siamo sottoposte, a un’inutile sofferenza, nessuno di noi ha commesso un crimine se non quello di essere nato e aver professato una religione, un credo o aver condotto un diverso stile di vita da quello che secondo alcuni è ritenuto l’unico possibile.
Ho ormai perso il conto dei giorni trascorsi in prigionia o forse ho solo smesso di contarli nella speranza che non sapere da quanto siamo rinchiuse aiuti almeno in parte ad alleviare le nostre sofferenze. Quello a cui siamo sottoposte qua però, non è sofferenza, gli uomini, ma ancor più le donne o i bambini in questo posto vengono abbassati a livelli che non possono essere considerati degni nemmeno per un cane, almeno lui un nome c’è l’ha.
Siamo dei semplici attrezzi che quando si arrugginiscono, si rompono o anche solo non rendono più al massimo vengono gettati via come roba vecchia.
Purtroppo ci vuole molto poco perché ciò avvenga quando si è sottoposti a lavori improponibili e in condizioni disumane senza cibo e riposo.Ho visto molte persone dirigersi verso il proprio destino, forse persino inconsapevoli di ciò che li aspettava o forse addirittura speranzosi in qualcosa di cui nemmeno loro avevano idea.
Le docce, un’altra invenzione efficiente per sbarazzarsi in fretta delle masse presenti nei campi in quanto la gente che arriva è sempre troppa, sempre di più, del sangue di quanti innocenti vogliono macchiarsi ancora le mani?
Ecco la promessa con cui ti uccidono, quella di una doccia e non sarebbe affatto male se si trattasse anche solo di una secchiata d’acqua congelata, andrebbe bene qualunque cosa pur di levare un po’ di sporcizia.Peccato che dopo una sola settimana qui non basta più l’acqua fredda a lavare via lo sporco perché ormai il marcio di questo posto lo hai dentro di te fin nelle ossa e ti accompagnerà finché non arriverà il nostro turno di fare la ‘doccia’.
Già, sino a quando non sarà il nostro turno per morire, perché ormai nessuno spera più in una possibilità di salvezza, ci hanno tolto anche questo, la speranza, le nostre vite ormai si sono ridotte ad aspettare che arrivi il turno della nostra morte, magari anche il prima possibile.Le nostre vite, le vite di tutti qua dentro, sono finite il giorno in cui siamo stati fatti prigionieri, adesso la gente non parla più, non ne ha la forza, nemmeno io la ho.
Ecco perché mi ritrovo a scrivere queste parole in un agenda distesa su questa mia branda ,fatta di fil di ferro intrecciato, che quasi sembra comoda quando finalmente ci è concesso un poco di riposo. Agenda che mi sono procurata di nascosto, anzi, rubata durante una delle tante volte che sono stata portata nella ‘Casa’.
Ecco cosa aspetta noi donne, non dobbiamo solo temere le docce, il freddo, la fame e tutto il resto, come se non bastasse ecco che i tedeschi hanno un’altra delle loro sadiche idee.
Siamo rinchiuse perché considerate di una razza inferiore, non degna, ma gli uomini non si preoccupano quando si tratta di spassarsela un po’. E’ straziante quando vengono a prelevarti, non c’è un quando o un dove, possono arrivare in un qualsiasi momento se decidono che è arrivato il tuo turno, non hai nessuna possibilità di ribellarti.
La chiamano ‘Casa’ ma non ci assomiglia per nulla a una casa, è più simile a una stalla con i suoi diversi box che non sono altro che stanzette simili a sgabuzzini provvisti solamente di un letto e un piccolo mobile dove i tedeschi ripongono le loro cose e poi le recuperano quando hanno finito. Non conviene essere di aspetto appena un poco gradevole perché allora sarai portata spesso in questo luogo, ci sono passata.
Quando arrivano nuove donne e ragazze e una di loro attira gli sguardi, alle volte, capita che i tedeschi facciano delle aste fra di loro per scegliere chi sarà il primo ad approfittarne. Ho imparato anche un’altra cosa, sempre a mie spese, probabilmente sono sterile, infatti, quando una di noi rimane incinta o è brava a nasconderlo o viene semplicemente mandata nelle camere a gas.
È impensabile che possano permettere la nascita di figli mezzo-sangue concepiti in questo modo. Su alcune più sfortunate vengono effettuati test sull’aborto che comunque spesso sono mortali, quindi adesso non so se pensare di essere felice per questa mia condizione di infertilità.
Avrei sempre voluto avere dei figli un giorno, ma forse è meglio che non possa avere questa possibilità, d’altronde quale madre sceglierebbe di dare alla luce un figlio in questo mondo?
A questo sono sottoposte le donne ad Auschwitz, che è solo un esempio di quello che succede in questi campi, veniamo raggruppati a migliaia, decine di migliaia e quello che ci aspetta è solamente il macello come se fossimo delle bestie, ma probabilmente è così che siamo visti.
Antologia della Memoria realizzata dai ragazzi del Liceo Scientifico Grigoletti di Pordenone
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