C’era una volta… Simona Vinci,  autrice di “Mai più sola nel bosco”, la sua ultima uscita che si inserisce nella nuova collana di Marsilio curata da Chiara Valerio, con un libro che parla di sé del suo mondo e delle sue esperienze d’infanzia, a partire però da quello che lei considera il libro più “importante” della sua vita: le “Fiabe  del focolare” dei Fratelli Grimm.  Chi nella sua infanzia non è mai stato terrorizzato ascoltando al buio “Hansel e Gretel”, o si è lasciato emozionare dalla magia dell’amore tra Belle e la Bestia, o non ha giocato a riprodurre “Cappuccetto Rosso” con il “lupo cattivo e la nonnina”?  La tradizione popolare ha portato questi racconti all’interno delle nostre vite, andando quasi a creare una parte dell’identità comune del mondo occidentale, che le ha tramandate prima oralmente e poi con il lavoro di trascrizione dei fratelli Jacob e Wilhelm.

C’erano una volta… personaggi piuttosto poveri, disobbedienti e volubili, spesso impauriti e capricciosi, che nonostante il loro carattere ribelle e le numerose punizioni riuscivano comunque sempre a risolvere la vicenda in un fiabesco lieto fine, attraversando quei luoghi mostruosi e macabri che spesso metaforicamente ospitano anche noi uomini, ma in cui preferiremmo sicuramente “non trovarci da soli”.  In fondo, racconta Simona oggi al Salone presentando il suo libro, anche noi siamo “dei poveri perdenti impauriti nel bosco” e quel bosco, che sia reale o immaginario è importante  per la nostra crescita personale. “Ho cercato di scrivere partendo da me e poi entrare nelle fiabe, come in un movimento doppio, in cui luoghi reali e immaginari si mescolano a tal punto da non capire più alla fine, quali sono quelli reali e quali quelli inventati, ma che forse possono entrambi “veri” ed  è questo il potere della letteratura”

C’era una volta… il sentimento della paura, e quello della speranza, che alla fine si completano, intrecciandosi tra loro,  nella capacità di ogni essere di avanzare e progredire anche nelle difficoltà: la paura che ci accomuna  ci fa dunque stare in allerta, e la speranza, che i personaggi accrescono nel corso del libro, porta i sentimenti a risorgere e a provare a rischiare.  “I desideri”, racconta l’autrice, “sono i motori delle azioni umane, senza desideri ci fermeremmo dove siamo, mentre la speranza è ciò che ci permette di coltivare i desideri, di accrescerli, di crederci, nonostante le paure e le punizioni. Questo è un po’ il messaggio che i protagonisti del libro vogliono trasmettere: resistere e sperare, per nutrire desideri che potrebbero portarci un po’ più spesso a un reale “lieto fine”.”

Chiara Sanvincenti,
Liceo Alfieri