«Librino…come si arriva a Librino?» È stata questa la mia prima reazione alla notizia che avrei dovuto coordinare alcuni laboratori radiofonici nelle scuole del quartiere Librino. Sono un giornalista, mi occupo da più di dieci anni di radio e non avevo avuto mai esperienze formative con studenti delle scuole. Non avevo mai frequentato neanche Librino, di quel quartiere sapevo solo quello che sanno tutti.

Librino è un quartiere della periferia sud-ovest catanese e spesso definito “città satellite” visto che con i suoi circa 60.000 abitanti ha una popolazione superiore alla maggior parte dei comuni siciliani, compresi alcuni capoluoghi di provincia. Nato come quartiere modello, moderno e funzionale, è presto diventato un quartiere-ghetto carente di servizi, in cui l’abusivismo edilizio è diventata la regola e dove la criminalità ha trovato terreno fertile. Librino al pari di Scampia a Napoli, di Tor Bella Monaca a Roma o dello Zen a Palermo – giusto per citarne qualcuno – è diventato simbolo di degrado delle periferie italiane. Per anni tutti hanno fatto finta di guardare altrove e Librino è diventato un vero organismo esterno alla città, di cui ricordarsi solo in campagna elettorale. L’assenza delle istituzioni è stata solo in parte sopperita dalle tante associazioni di volontari che con la loro attività fanno il possibile per dare una mano e chi si sente abbandonato e togliere tanti ragazzi dalle strade prima che vengano reclutati dalla criminalità organizzata.

Una delle cose che più mi ha colpito è che il racconto del quartiere – a parte rare eccezioni – è sempre affidato a chi non abita il quartiere. Un racconto che inevitabilmente fa leva su stereotipi che vengono continuamente confermati e creano un vero e proprio “mito di Librino” che si allontana sempre più dalla realtà e non restituisce una visione completa del quartiere e dei suoi abitanti.

Quando noi dell’Associazione Catania Lab abbiamo pensato al progetto “Le voci di Librino”, eravamo convinti che qualcosa dovesse cambiare, che fosse venuto il momento di dar voce al quartiere. Quale modo migliore se non una radio di comunità? Insieme a Impact Hub, Talità Kum e Mosaico abbiamo creato un progetto multiforme che con una serie di azioni (laboratori radiofonici, eventi sportivi, tirocini a minori a rischio, attivazione di idee imprenditoriali dal basso) intende dialogare con gli abitanti del quartiere e dar loro la possibilità di raccontare le realtà in cui vivono, lavorano, studiano.

Il nome che abbiamo scelto ha per noi una doppia accezione: le voci di Librino sono quelle dei ragazzi che raccontano se stessi e il proprio quartiere, ma sono anche quelle che raccontano la realtà culturale, politica e sociale in cui viviamo tutti noi. Sono quindi  le voci di Librino che racconta Librino, ma anche quelle che raccontano il mondo visto da Librino.

Dal settembre del 2017, quando abbiamo iniziato i laboratori, ho conosciuto centinaia di ragazzi che frequentano le scuole di Librino. Non sono mancate le difficoltà e i “casi difficili”, ma ho incontrato anche adolescenti straordinari, che a fronte delle oggettive difficoltà in cui vivono, mi hanno impressionato per la loro capacità di raccontarsi e la semplicità con cui riescono a riflettere su temi come immigrazione, violenze di genere, criminalità organizzata. Tra le tante attività svolte ricordo ad esempio l’incontro, organizzato in collaborazione con “Leggo. Presente indicativo”, in cui Lelio Bonaccorso, autore insieme a Marco Rizzo della graphic novel Salvezza (Feltrinelli, 2018), ha incontrato alcuni degli studenti dell’istituto Musco a Librino per parlare di migrazioni. In quell’occasione c’erano anche i “nostri” ragazzi, che sono intervenuti sul tema con disarmante spontaneità e si confrontandosi con alcuni coetanei provenienti dall’Africa dimostrando quanto sia facile instaurare un dialogo senza pregiudizi o eccesso di comportamenti politically correct. È stato un momento indimenticabile, terminato con abbracci sinceri e scambio di numeri di telefono o di contatti sui social.
In questi anni il mio compito è stato quello di formare questi ragazzi, di fornir loro gli strumenti di comunicazione – quelli radiofonici in particolare – per far sentire la loro voce. Adesso, che il progetto sta per terminare, sono io a sentirmi arricchito da questa esperienza e l’iniziale sensazione di incertezza ha lasciato posto alla speranza in un futuro migliore che vedo negli occhi e nelle parole di alcuni di questi ragazzi. «Librino…come si arriva a Librino? È facile, basta ascoltare».

Alberto Conti

(giornalista e coordinatore dei laboratori didattici e radiofonici)

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