In Messico, tra narcotrafficanti e migranti, è sempre più luminosa la luce di speranza che Alejandro Solalinde diffonde. In origine un prete borghese, che dopo la conversione e l’incontro con il fenomeno della migrazione, ha intrapreso un’opera al fine di aiutare le migliaia di persone che ogni anno scappano dal triangolo nord degli Stati Uniti, con il suo rifugio “Hermanos en el camino”. Da qualche anno ormai il Messico non è più luogo di emigrazione ma prevalentemente di passaggio, che mette chi lo attraversa ad altissimo rischio di finire in mano a trafficanti d’organi che hanno fatto del corpo di persone indifese fonte di lucro. Padre Alejandro non affronta questa guerra da solo e nella stesura del libro è la scrittrice nella redazione Esteri di Avvenire, Lucia Capuzzi, ad affiancarlo per farsi sentire in questo stato che proprio Solalinde definisce, in un momento di rammarico, “una fossa comune”.

Ed è proprio con queste parole che padre Alejandro oggi ha presentato il suo libro al Salone confrontandosi con  Alex Zanotelli e Moni Ovadia e con il primo sono stati messi a confronto ambienti tanto diversi quanto simili come il Sudamerica e Napoli. Quest’ultima è infatti una delle più grandi piazze di spaccio d’Europa in un ambiente in cui giovani, figli di un proletariato che ha perso tutti i suoi valori, sono prodotti di un consumismo in cui il fine ultimo è quello di tenere in mano una pistola e sparare, per sentirsi più forti, superiori. Ed è in quest’ambiente che padre Alex mira a tendere una mano a tutti quei ragazzi destinati a finire in giri di droga e di armi.

Come dice Lorenzo Fazzini, “I narcos mi vogliono morto” è un libro che tocca e tiene svegli la notte, un libro che ci apre gli occhi su un mondo che siamo abituati a credere troppo lontano da noi, ma che in realtà è molto più vicino di quanto pensiamo. Non sono i migranti a non esserci, ma noi che non li vediamo.

Eva Canigiula, Alessandra Carisio
Liceo Alfieri