Antonio Scurati, nato a Napoli nel 1969, è laureato in filosofia ed è ricercatore all’Università IULM di Milano dove insegna letterature contemporanee e scrittura creativa. Conosciuto soprattutto per Il sopravvissuto (2005), con cui ha vinto la XLIII edizione del Premio Campiello, presenta alla Biblioteca Civica Villa Amoretti Il padre infedele, suo ultimo romanzo.

“Capitava sempre così. Ogni volta che mi sforzavo di rammentare un momento della nostra vita in comune compreso tra il periodo dell’innamoramento e l’annuncio della nascita di Anita, la memoria mi tradiva. […] Eppure, tra il periodo dell’innamoramento tra me e mia moglie e la venuta al mondo di nostra figlia sono trascorsi quasi quattro anni. […] La verità, però, è questa: non ho memoria di noi senza nostra figlia. […] Io di certe dimenticanze non mi pento. Non mi pento dell’onnipresenza neuronale di mia figlia.”

Siamo entrati senza chiedere permesso nella vita, prima coniugale e poi familiare, di Glauco e Giulia, una coppia segnata dal silenzio. Come sostiene Scurati stesso:

“questo libro, prima che un libro sulla crisi di coppia, è un libro sulla paternità e sull’amore di un padre per la propria bambina”

E proprio Anita, figlia di Glauco e Giulia, è lo snodo principale per comprendere la narrazione: il racconto si apre sulla scena della crisi coniugale e poi, con una digressione, torna indietro fino ai trentacinque anni di Glauco, quando, ancora misogino e libero, non pensa affatto a costruire una propria famiglia. Cambia idea, però, quando incontra Giulia, di cui si innamora (o decide di innamorarsene?), e con la quale vive l’esperienza della gravidanza e del parto. Il racconto prosegue con la narrazione della crescita della figlia, fino ai suoi tre anni. A Glauco accade questa cosa un po’ perversa per la quale ogni volta che in qualche modo viene meno ai suoi doveri di marito e soprattutto quando ha tentazioni adulterine, si sente in colpa nei confronti della figlia, non della moglie. Per il protagonista, e anche narratore, la posta in gioco più alta è quella del buon padre, non del buon marito e, come spiega Scurati, contrariamente a quello che si è ritenuto fino a poco tempo fa, nella vita si può essere buoni padri anche essendo pessimi mariti.
Glauco, infatti, alla soglia dei quarant’anni diviene padre e gli accade di doversi misurare con un nuovo modo di essere genitore. Contemporaneamente a questa gioiosa e appassionante avventura, che compie in modo goffo e zoppicante ma con entusiasmo, vive una storia di disamore con la moglie, con la quale cessa di essere una coppia nel momento stesso in cui diventa una famiglia. La crisi coniugale si manifesta soprattutto nel rifiuto della moglie di avere rapporti sessuali, a tal punto che Glauco, quando racconta dei suoi struggimenti erotici per Giulia, confessa di vederne solo più la nuca, che diventa simbolicamente il volto della moglie, a dimostrare che il talamo nuziale è fatto di passioni ardenti ma insoddisfatte. Il protagonista, inoltre, sente, in maniera ridicola, l’essere padre come un compito eroico e, con uno slancio enfatico e melodrammatico, si sente sempre in preda all’affanno. Nelle generazione precedenti, invece, essere padri era un evento ordinario, non straordinario, e proprio per questo ora si vive la paternità con una passione e un trasporto solitamente attribuiti ai compiti eroici. Questo contrasto viene non solo sottolineato nello stesso nome di Glauco Revelli (Glauco, infatti, è il nome di un eroe omerico, mentre Revelli è un omaggio al personaggio storico di Revelli, per l’appunto), ma anche in alcune scene del libro, ricalcate sul modello omerico in chiave contemporanea.

Questo romanzo racconta di una asimmetria molto evidente: marito e moglie, sempre più divisi, precipitano senza controllo nel momento in cui Giulia, seduta in cucina, confessa che forse non le piacciono più gli uomini. Questa frase, secondo Glauco, lo assolve da ogni sua colpa, passata, presente e futura di padre infedele. Il personaggio vive una lacerazione profonda, posseduta dai demoni interiori che, quando entrano in scena, mutano la narrazione facendola passare dalla prima alla terza persona. Il loro statuto di realtà rimane così incerto: sono fantasie in preda a una crisi regressiva o sono agite veramente? La verità rimane celata, ma non perché non si voglia smascherare, bensì perché non vi è alcuna differenza se questi demoni siano effettivamente reali o pura immaginazione. Esattamente come le varie ipotesi che Glauco si concede in seguito alla rivelazione della moglie: che le piacciano le donne (prima ipotesi scartata subito), che cerchi di confessare la propria misantropia o che cerchi di comunicare l’amore perduto per il marito non cambia la situazione. La crepa tra di loro è ormai troppo netta.

Il libro, che rigorosamente riflette il punto di vista maschile e non nasconde riferimenti a testi di canzoni, ha l’abilità di rovesciare il paradigma della famiglia, creando un padre a trecentosessanta gradi, che si mette seduto ad un tavolo pronto a rivivere la sua vita, dall’ingresso nell’età adulta, l’innamoramento, la nascita della propria famiglia, fino al disinnamoramento della moglie e al ritorno dei demoni del sesso, con uno sguardo critico ma commosso.
La vera domanda da porsi, dopotutto, è: quanto c’è di Antonio Scurati nel libro?

Barbara Cantino
Liceo Classico Cavour, Torino