Nel suggestivo cortile interno del Chiostro di San Paolo, molta gente, nella mattinata di sabato 4 ottobre, si riunisce per ascoltare la trasmissione radiofonica in diretta di Studio Europa riguardo alla storia del tatuaggio, trasmessa eccezionalmente dal Festival di Internazionale di Ferrara.

Conduttore del programma è Thierry Vissol della Commissione europea che media ed intervista Alessandra Castellani, docente all’Accademia di Belle Arti di Napoli e scrittrice del libro Storia sociale dei tatuaggi ed il tattoo artist di Roma, Welt.

La discussione si apre con le due visioni contrapposte della scrittrice e del tattoo artist, una priva di tatuaggi e l’altro ricopertone per il 70%. Entrambi studiano il tatuaggio come una forma d’arte molto complessa a causa del supporto, la pelle, sempre diverso e sono mossi dalla loro passione e curiosità; ma mentre Alessandra ne studia il passato, Welt lo trascrive.

Per analizzare la storia di questa arte, Alessandra Castellani parte dalla concezione che un corpo tatuato è stato profanato anche se, in passato, le tribù utilizzavano spesso questi marchi indelebili per identificarsi o come strumento intimidatorio, come i guerrieri Germani descritti da Cesare con la frase “I primi ad essere sconfitti sono gli occhi” perché l’impatto visivo per il soldato che li fronteggiava era immediato e spaventoso. In seguito il tatuaggio ha avuto i suoi alti e bassi; per esempio dall’avvento del Cristianesimo gli è stata attribuita una connotazione negativa: solo gli empi erano marchiati. Con la scoperta dell’America i marinai tornano a tatuarsi grazie al contatto con i popoli delle isole polinesiane. Nuovamente, nell’Ottocento, torna ad essere un marchio per prostitute criminali e omosessuali. Nel Novecento, con l’invenzione della macchinetta elettrica per tatuaggi, il vezzo del tatuaggio si estende a tutte le classi sociali come modo di affermare la propria individualità.

Welt invece è stato attratto, fin da giovane, dalla pratica del tatuaggio tanto da scrivere su di sé la propria storia e avere il desiderio di raccontare quella d’altri. Il gesto di marchiarsi è mosso spesso dalla volontà di decorare il proprio corpo, come nella tradizione giapponese, dove le linee del disegno seguono quelle del corpo, oppure di trasgredire le regole della società e mettere in discussione ciò che si da per scontato.

Al giorno d’oggi tatuarsi è “main stream”, non è più una trasgressione e se lo è, è accettabile; la moda ormai è quella di leggere storie sul corpo, forse ormai non serve più guardare nell’anima ma solo i marchi incisi nella pelle.

 Beatrice Rossini redazione Alfieri

Letizia Ninfali redazione Ariosto