Non sono solita scrivere di scrittura. Non sono nemmeno abituata a raccontare in prima persona, specialmente sul bookblog. Se ora mi ritrovo a fare entrambe le cose è perché l’esperienza che cerco di narrare è fatta di scrittura, ma soprattutto è così mia da diventare quasi percepibile fisicamente. Abbandono quindi la tanto elegante forma impersonale per gettami nel mondo della soggettività, un po’ come mi lanciai ad occhi chiusi nella partecipazione al Salone la prima volta.

Cercare di condensare un’atmosfera così particolare su un foglio elettronico è difficile, ma se dovessi trovare un sinonimo di Salone del Libro, sarebbe vicinanza.

Vicinanza fisica, perché gli amanti dei libri sono tanti, e i bookblogger mai troppi.

Vicinanza mentale, di idee e parole condivise senza intoppi.

Vicinanza emotiva, di persone che si leggono negli occhi.

Il contrasto con la cosiddetta didattica a distanza non potrebbe essere più evidente.

Alcune cose che tradizionalmente associo a quei fatidici giorni di maggio mi mancano. Ripensare a quel frastuono meraviglioso fatto di parole scritte, sfogliate lette e urlate, alla corrente incessante di magliette rosse del bookblog, persino alle folle (folli) che si precipitano verso la sala gialla, mi provoca qualche fitta di nostalgia.  L’inconfondibile odore della carta, che al Salone è così esasperato da rimanere quasi attaccato ai vestiti, difficilmente mi arriverà dallo schermo che mi trovo di fronte adesso.

Altri elementi si sono trasformati. Le attese per partecipare agli eventi sono state sostituite da quelle per il ritorno della connessione internet interrottasi improvvisamente; la stanchezza delle orecchie dopo una giornata di eventi in luoghi rumorosi è scesa fino agli occhi, che lamentano le troppe ore passate al computer.

Per fortuna la densità degli stimoli irradiati dagli incontri è rimasta invariata. Ogni volta sento la testa colorarsi di energia e idee fino quasi ad esplodere. Intorno a me i soliti fogli strapieni di appunti ingarbugliati risultano stranamente rassicuranti. Penso che potrei persino ritrovare la nota febbre-post-salone, ovvero il tentativo fisico e mentale di rielaborare la dose di vita ricevuta in forma condensata.

Sento che il Salone, insinuandosi direttamente nelle case, ha scovato una via che porta alla quotidianità delle persone. Forse questa sua veste provvisoria ne faciliterà l’evasione dalla bolla magica del Lingotto, e sarà più semplice portarselo dietro in ogni occasione, trarne ispirazione.

Il Salone da sempre riesce ad avvicinare le solitudini scelte di lettori, autori e traduttori, ma in quest’edizione rivela un potere Extra, compiendo un ulteriore SalTo: stringe in un abbraccio cullante ma straordinariamente energizzante persino gli isolamenti imposti dalla pandemia.

Ricerche neuroscientifiche, conferenze e sondaggi, oggi come non mai si discute del ruolo della tecnologia nella vita sociale; trovo che il Salone stia dando un contributo decisivo a questo dibattito sempre acceso: se all’esperienza online si accompagna il ricordo vivido di un luogo concreto, di voci e sguardi presenti, di fisicità vissuta, le emozioni sgorgano spontanee anche davanti a uno schermo. Anche se il corpo si trova in tutt’altro ambiente rispetto a quello in cui la mente viene trasportata, l’immaginazione colma il divario, in un modo familiare ad ogni lettore.  Chi mai avrebbe pensato di “leggere un Salone”?

Ester Dall’Olio, Liceo L. Ariosto, Ferrara