Beppe Severgnini, giornalista e scrittore, è stato invitato alla chiusura del festival di pordenonelegge 2014 per condurre una conferenza che avrebbe dovuto riguardare il suo libro “La vita è un viaggio”. Il monologo ha, però, toccato diversi temi partendo da episodi della sua adolescenza fino a trattare argomenti relativi alle più appropriate tecniche di scrittura e al rapporto tra i giovani e il lavoro in Italia.

“Stiamo vivendo dei tempi strani.”, esordisce Severgnini. “Sono ottimista di natura, ma il mio timore è che in Italia stiamo scegliendo un declino dolce piuttosto che una salita faticosa.” Ci colmiamo sempre più di ossessioni che profumano di anestetico: sport, cucina, hobby vari. Tutte dettate dalla paura di affrontare la realtà, di migliorare la nostra condizione. Internet può considerarsi il grande agente di cambiamento, e mentre nella West Coast americana vengono attuati grandi esperimenti informatici, nella nostra penisola la rete è considerata un’inutile perdita di tempo. “Stasera non voglio indicare una meta, la destinazione la decide sempre chi viaggia, posso però offrirmi come compagno di viaggio”.

Severgnini ci indica cinque parole chiave da tenere sempre in mente, soprattutto in ambito lavorativo: brevità, velocità, precisione, incoraggiamento e ispirazione.

Nella descrizione della ‘brevità’ il giornalista si è contraddittoriamente dilungato. Riporta alla mente i compiti in classe del liceo, nei quali dava importanza alla quantità più che alla qualità. “Meno è meglio”, gli ripeteva l’insegnante, “non esagerare con avverbi e aggettivi, scegli quello più appropriato”. Beppe Severgnini ha ormai imparato la lezione, e ci spiega: “Mai due ‘che’ nella stessa frase”, perchè? “Dogma. È un beppismo”. Le parole superflue non sono pleonastiche, eccessive, bensì dannose. Invece la brevità dovrebbe essere un comandamento per questa Italia. Spesso offriamo lunghezza, che è fatica. Bisogna usare il filo intermentale: essere sintetici. La sintesi è una spremuta di pensiero. Ecco perché è importante scrivere su Twitter, riassumere le proprie idee in 140 caratteri. È necessario diventare atleti mentali passando più di mezz’ora al giorno sui social networks, perché la semplicità paga, la sintesi vende. “Chi riesce a dire in venti parole ciò che può essere detto in dieci, è capace pure di tutte le altre cattiverie”, asserisce il giornalista citando Carducci e provocando risate generali. Si deve continuare a dare importanza alla scrittura letteraria, ma non c’è bisogno di scegliere: è necessario imparare le due velocità, dettate da bisogni e fini diversi.

La seconda parola chiave è velocità. Non è fretta nè frenesia, bensì condizione necessaria per vivere e lavorare. La lentezza rischia di diventare alibi per la pigrizia, tentazione umana che produce rischi. Se l’Italia si trova dov’è, gran parte della causa va ricercata nella mancanza di velocità nei trasporti, nelle procedure di lavoro e nella distribuzione dello stesso. Un’altra causa va riconosciuta nella corruzione, che è il ricatto dei frenatori: paghi e puoi tornare a muoverti. “Lo slow food piace anche a me, non mi piace lo slow parlament nè le slow reforms”. Gli ostacolisti italiani hanno investito nelle consuetudini inefficienti, mentre il dinamismo dev’essere una condizione obbligatoria. Il ritmo del mondo è cambiato, tutto è diventato più veloce. La lentezza può talvolta rivelarsi un piccolo lusso, ma non è il marchio degli anni che stiamo vivendo: “Il treno del futuro corre veloce, mettersi a fare un pic-nic sui binari non è il modo migliore di affrontarlo”.

Al terzo posto incontriamo la parola ‘precisione’. ‘Presto’ e ‘bene’ devono stare insieme, sciatteria e pressapochismo non devono essere marchio italiano. Su noi italiani pende il sospetto metodico dell’imperfezione e della sciatteria. La scrittura dev’essere precisa, comprensibile. Prima si impara ad essere schematici e chiari, e solo in seguito ci si può sbizzarrire e si può sperimentare. Non bisogna confondere la precisione con la pignoleria.

La quarta parola è ‘incoraggiamento’. C’è molto bisogno di incoraggiare i ragazzi nel lavoro, bisogna pagarli, per correttezza e come incitamento. Ci sono vantaggi reciproci anche nell’incoraggiamento: si mescolano competenze, generazioni ed esperienze.

Incoraggiamento è anche ispirazione, l’ultima parola chiave. “Chi ci ispira oggi? Chi ci sostiene e consiglia? Le persone davvero importanti. Autori e attori della nostra rappresentazione.” Potremmo osservare, però, come ci sia sempre il rischio che questa fonte di ispirazione arrivi a detenere un’autorevolezza che può trasformarsi in autorità, seguendo un ipse dixit che può giungere a limitare la propria libertà.

Severgnini aggiunge infine un’ulteriore parola chiave: relatability, ovvero la capacità di entrare in relazione empatica con il lettore. “Se da quest’articolo esce il profumo dell’Italia, allora ce l’ho fatta”.

Al termine della conferenza, il giornalista decide di introdurre un’ultima parola: resilienza, l’arte di adattarsi al cambiamento, trasformando le incertezze in occasioni e i rischi in innovazione.

La conferenza si è ramificata in diversi temi, trattati con la giusta ironia e inframmezzati da battute, che hanno promosso le risate sincere del pubblico. La sua visione molto americana della vita e del lavoro, caratterizzati da efficienza, velocità e schematicità, può però essere limitante e causare un impoverimento del pensiero, o per lo meno della modalità di esprimerlo. Al contrario, la lingua, la letteratura e la storia italiana ci spronano a ricercare la formula più bella per trasferire le nostre idee dalla mente alla carta, e quasi mai coincide con quella più semplice. La semplicità è forse una caratteristica della cultura angloamericana, che non ci appartiene. Ovviamente bisogna prima possedere un’organizzazione mentale schematica per poter poi arricchire i contenuti adeguatamente. Contestualmente a determinati lavori, la brevità e la velocità sono più importanti della ricerca del bello, la quale, dall’altro lato, è stata e rimarrà fondamentale nella maggior parte delle opere artistiche, sia letterarie che non.

Beppe Severgnini conclude con un aforisma relativo alla necessità di viaggiare per afferrare migliori opportunità: “Stare ancorati nel posto sbagliato è pericoloso durante la marea che sale”.

Chiara Buzzi, Liceo “Michelangelo Grigoletti”, Pordenone